Un film italiano ad oggi poco ricordato e quasi dimenticato. Il primo e unico diretto, dettaglio curioso, da un montatore cinematografico: Sergio Nuti. Inizialmente autore di documentari militanti (Cina – Manifesti sul fascismo, 1973), aiuto regista per Silvano Agosti (N.P. – Il segreto, 1971) e in seguito montatore, tra gli altri, per Marco Tullio Giordana, Gianfranco Mingozzi, Gianni Amelio e Marco Bellocchio, nel 1978 decide di passare alla regia e realizzare quello che ad oggi è il primo film di finzione italiano sulla tossicodipendenza dalla parte dei tossicodipendenti, Non contate su di noi.
Autoprodotto, in anticipo sui tempi (il più celebre e ad oggi più celebrato Amore tossico del recentemente scomparso Claudio Caligari arriverà cinque anni più tardi) e malamente distribuito, il film non ebbe la risposta che avrebbe meritato e finì presto nel dimenticatoio del cinema italiano insieme al suo autore (a ciò contribuì di certo il fatto che Nuti non realizzò altri film come regista). Nonostante tale passato ma senza dimenticare che il film all’epoca vinse il Nastro d’argento per il miglior regista esordiente dunque ebbe un importante riconoscimento ufficiale, il film appare ancora oggi un lucido documento di quell’epoca, la faccia oscura di una città come Roma, capitale italiana, spesso rappresentata attraverso il suo lato più popolare e riconosciuto. È un lavoro qua e là prolisso, inutilmente insistito, non sempre deciso e chiaro sulla strada che intende seguire. Ma disperatamente sincero. Il grido di una generazione costretta a rifugiarsi nella droga dopo aver visto andare i frantumi i propri ideali.
Il titolo, che inizialmente avrebbe dovuto essere il più banale e individualista Eroina per Flauto, è fin troppo esplicito in questo senso: non contate su di noi, generazione di illusi ora emarginati, reietti, non più utili ad una rivoluzione rimasta soltanto un’ipotesi. La presa di coscienza di un fallimento dunque, di una resa. Un dato di fatto duro da digerire e difficile da “condividere”. Forse un pubblico giovane accorso in massa (sia per la tematica che per il momento di celebrità che stava vivendo il suo autore) per un film come Ecce bombo di Nanni Moretti, opera giovanile altrettanto diretta ma più spensierata al confronto del film di Nuti, non era preparato per un ritratto generazionale così diretto, “dentro” ad una certa realtà e dal sapore neorealista. Film che non cercava di compiacere il pubblico o di farlo sentire a suo agio (da notare la scelta del pianosequenza per le scene in appartamento, come quella in cui Flauto ha la sua prima esperienza con l’eroina) e che non presentava nel cast attori noti a far da traino, ma che intendeva portare alla luce qualcosa che il cinema di quel tempo e di conseguenza il pubblico non era solito (o non era mai stato in grado di) mostrare. E nonostante la prolissità già rimproverata sopra e le indecisioni derivate anche dal fatto che Nuti fosse alla prima regia, non mancano di certo i pregi: una bella colonna sonora curata dal musicista Maurizio Rota (che interpreta Robby nel film) dove è possibile rintracciare anche il brano di un Alan Sorrenti pre-figli delle stelle come Sienteme; l’evidente povertà di mezzi riscattata da una ricchezza d’idee (vedere la doppia sequenza iniziale, prima con i titoli poi senza o la stralunata scena in autostrada); l’inevitabile spontaneità di tutti gli interpreti. Tanti piccoli dettagli che giustificano il desiderio e la speranza di poter finalmente rendere disponibile il film per chiunque abbia voglia di recuperarlo, di dargli quella possibilità negata (o solo parzialmente permessa) in passato.