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Miss Violence, il doppio sguardo

The tribe di Myroslav Slaboshpytskkiy

Interamente girato nella lingua dei segni, senza sottotitoli né voice over, The tribe richiede da parte dello spettatore una concentrazione senza pause

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Ucraina, collegio di studenti non udenti di Kiev; Sergey è l’ultimo arrivato e deve sottoporsi alle ferree regole delle gang che dominano e gestiscono prostituzione, traffici di ogni genere, furti, violenze e soprusi.
La ripetizione degli abusi e degli espedienti quotidiani viene gestita attraverso una organizzazione paranoica e compulsiva: l’unico reale obiettivo sono i soldi.
Non esiste alcun sentimento se non l’innamoramento di Sergey per una delle ragazze indotte alla prostituzione in un parcheggio per camionisti. Sebbene ricambiato, i soldi evidenzieranno sempre il presupposto dei loro incontri.
I passaporti consegnati alle ragazze e la loro presunta vendita in territorio italiano faranno convergere la situazione già di per sé estremamente alienante in una tragica sebbene inevitabile conclusione.
Interamente girato nella lingua dei segni, senza sottotitoli né voice over, richiede da parte dello spettatore una concentrazione senza pause.
130 minuti privi di qualunque colonna sonora che non siano i rumori, unici elementi ascoltabili dagli udenti.
Solo il corpo parla ma è il corpo più animale; senza le parole non c’è metafora, non c’è simbolo, non c’è il senso se non nel messaggio estetico che le immagini impongono. Senza significante il significato rimane inesprimibile, il gesto esprime l’altrimenti incomprensibile: è il contrappasso dedicato ad un cinema ad esclusivo uso e consumo degli udenti.

The tribe
Cosa si comprende effettivamente, cosa sfugge e cosa si prova con una esperienza simile?
La colonna sonora della vita scompare nell’assenza del linguaggio fonetico per far posto al suono assordante del silenzio rumoroso.
L’abitudine è sconvolta e rimane il corpo inerme, la pelle ostile e l’incapacità di capire perché il gesto esprime l’incomprensibile e tutto si riduce al consumo fine a se stesso.
Abbrutimento, alienazione, emarginazione, violenza di una umanità che per vedersi ha bisogno di un altro linguaggio che non sia quello della parola omologante.
Solo attraverso un nuovo modo di guardare, che non sia vestito dal suono assordante della parola consumata che distorce la realtà, forse è di nuovo possibile vedere….
Tra il linguaggio e il reale c’è incommensurabilità e la verità del reale non può che annunciarsi nel linguaggio, qualunque esso sia, senza che il linguaggio possa adeguatamente esprimerla.
E se l’immagine ha sempre l’ultima parola, il film di Slaboshpytskkiv la IMPONE.

Beatrice Bianchini

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