Milano odia: la polizia non può sparare è un film del 1974, diretto da Umberto Lenzi. È considerato uno dei più violenti noir italiani. Negli Stati Uniti uscì come Almost Human.
In Italia uscì l’8 agosto 1974, mentre negli Stati Uniti uscì nel novembre 1975.
Umberto Lenzi era reduce dai suoi gialli erotici, con protagonista Carroll Baker, ma aveva intuito che il filone si stava esaurendo. Luciano Martino, produttore fratello del regista Sergio, cominciò a investire sul poliziottesco, genere che rispecchiava i tempi (terrorismo, rapine, violenze sessuali), e commissionò una sceneggiatura a Ernesto Gastaldi, proponendo a Lenzi di dirigere il film. Lenzi accettò e accentuò la connotazione sociale di Giulio Sacchi.
Lenzi si era già cimentato con il genere poliziottesco, nel 1973 diresse infatti Milano rovente, ambientato nel mondo della prostituzione.
Per interpretare la parte dei sequestratori furono scelti Richard Conte e Gino Santercole, mentre per la parte del commissario fu scelto Ray Lovelock. Mancava solo il ruolo del terzo sequestratore, fino a quando fu scelto Tomas Milian, che però quando lesse il copione scelse di interpretare Giulio Sacchi, il sadico protagonista. Così Ray Lovelock interpretò l’altro sequestratore, quello “buono”, l’alter ego di Giulio Sacchi.
Ray Lovelock interpreta Carmine, deuteragonista di Giulio Sacchi
Henry Silva, inoltre, si ritrovò a interpretare il commissario, che fu il suo primo ruolo da “buono”, dato che fino ad allora aveva interpretato sempre ruoli da antagonista.
Il film fu girato a Milano, Lugano, Bergamo e Roma (gli interni).
Durante la lavorazione del film, per interpretare meglio il personaggio, Tomas Milian faceva uso di alcolici e stupefacenti, come ammesso da lui stesso.
Alcune scene di inseguimento in auto provengono da Milano trema: la polizia vuole giustizia, diretto da Sergio Martino nel 1973 che verranno riutilizzate in Roma a mano armata, sempre di Umberto Lenzi, uscito due anno dopo.
Il film è considerato da molti un poliziottesco, ma in realtà i legami col genere allora emergente sono marginali: l’inseguimento iniziale e il commissario tutto d’un pezzo, dal volto inespressivo, interpretato da Silva, che però rimane in secondo piano. Il film ha anche echi horror, nella scena delle sevizie nella villa, ed è piuttosto un noir metropolitano.
Il messaggio del film è considerato molto ambiguo, o addirittura nichilista, poiché sembra voler affermare che a violenza risponde necessariamente altra violenza. Allo stesso tempo nella scena finale del film la violenza sembra avere una valenza catartica, dove il pubblico trova una soluzione all’efferatezza della vicenda.
Il film, inoltre, offre un disincantato ritratto dell’Italia degli anni settanta, lacerata da scontri di classe e pervasa da un clima di insicurezza e disordine. La figura del commissario Grandi, che, seguendo l’esempio di Clint Eastwood in Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, decide di fare giustizia fuori dalla legalità, pone l’accento sulla difficoltà che la polizia aveva in quegli anni nel fermare l’ondata di violenza, secondo una parte dell’opinione pubblica a causa di leggi troppo permissive e garantiste. Rimane celebre la frase pronunciata da Sacchi a tale proposito: “Per condannare qualcuno all’ergastolo ci vogliono prove alte come il grattacielo Pirelli”. Anche su questo punto però il film è ambiguo, in quanto la figura del commissario, interpretato da Silva, non emerge chiaramente come quella dell’eroe, anche a causa dell’incisività con cui è rappresentato l'”antieroe” Sacchi.