Nell’anno che purtroppo ha visto scomparire Claudio Caligari, autore di un film epocale come Amore tossico, al Genova Film Festival è passato in concorso un documentario dove l’universo della tossicodipendenza viene esplorato con schiettezza, sensibilità, vicinanza umana ai protagonisti, siano essi pazienti, infermieri o dottori schierati in quella specie di avamposto che è il Ser.T (servizio per le tossicodipendenze): nella fattispecie quello di Fuorigrotta, posto accanto allo stadio San Paolo e probabilmente tra i più difficili da gestire, nell’area di Napoli.
Eppure, ancor prima del carattere estremamente delicato di certe situazioni, di certe vite, da un documentario come La malattia del desiderio esce fuori con forza l’urgenza di un dialogo vero, sincero, senza filtri. Di tale natura ci è parso il confronto, testimoniato da una videocamera vicina ai personaggi ma non per questo invadente, che coinvolge sia medici dall’aria responsabile che persone dipendenti dalla droga ma poste nella condizione di uscirne, seppur con fatica, attraverso una quotidianità fatta di controlli, anamnesi, rapide esplorazioni di situazioni socialmente rischiose e dosi di metadone assegnate seguendo gli scrupoli del caso.
Quella realizzata dalla film-maker napoletana Claudia Brignone (una cineasta il cui sincero interesse per il sociale è ben rappresentato da altre attività, come il corso di fotografia e cinema tenuto nel carcere di Buenos Aires o il lavoro da lei svolto per il Festival Internazionale di Cinema e Diritti Umani, che ha luogo anch’esso nella capitale argentina) è una ricognizione ambientale dai toni giustamente ruvidi, ma non trasandata, che sa approcciare con rispetto volti e storie.
Abbiamo poi scoperto che per preparare La malattia del desiderio (titolo ispirato al modo in cui certi specialisti, in ambito ospedaliero, definiscono questa dipendenza), Claudia Brignone ha frequentato il Ser.T più di due anni. Solo così poteva uscirne fuori un lavoro simile, in cui l’osservazione sul campo predispone all’ascolto e alla selezione di racconti, che siano davvero emblematici di quanto accade, mentre la presenza di chi sta filmando viene avvertita con naturalezza e senza fastidio, da chi dona all’ascoltatore vicende personali complicate e scelte sofferte.
Stefano Coccia