«La protagonista di “È complicato”, Jane Adler (Meryl Streep), è una cuoca eccellente. “È complicato” non delude e garantisce un paio d’ore di schietto divertimento».
La protagonista di “È complicato”, Jane Adler (Meryl Streep), è una cuoca eccellente. Fra le righe della narrazione intuiamo che sa cucinare piatti straordinari utilizzando anche gli avanzi. Sarà pure complicato, eppure nell’ultimo film di Nancy Meyers saltano agli occhi almeno un paio di cose: la facilità con cui certo cinema americano continua a snocciolare eleganti commedie, che scivolano come olio fra gli ingranaggi di una tradizione screwball indimenticata e la capacità di ammannire un piccolo, delizioso banchetto, con elementi semplici, banali e rimasticati in cent’anni di cinema. Avanzi, appunto.
Le intricate vicende sentimentali di Jane si snodano fra i due poli di una doppia relazione sentimentale: quella col fedifrago ex marito Jake (Alec Baldwin), e l’altra con l’azzimato architetto Adam (Steve Martin). Sullo sfondo, tre figli ormai grandi, un futuro genero (John Krasinski) che è come un altro figlio, e una giovane donna aggressiva che dieci anni prima le ha sfilato di mano suo marito (Lake Bell).
Jane si barcamena e, per lunga parte della storia, sceglie di non scegliere, vive una seconda, scellerata giovinezza fra sesso proibito e sensi di colpa, si lascia trasportare dagli eventi, e la sceneggiatura per tre quarti di film non perde un colpo. Il terzo atto si intoppa un po’, la tira per le lunghe, e appesantisce la leggerezza che aveva accompagnato una commedia autenticamente liberal nei contenuti (spinelli fuori tempo massimo, orgasmi estenuanti, tradimenti sdoganati e consumati come piccole rivincite personali), quanto classico nella forma – una regia invisibile che sa dosare gli intermezzi comici, spesso affidati al simpatico Harley – e lascia ampio spazio agli attori. La Streep rasenta come di consueto la perfezione, in un ruolo che ormai le calza a pennello, Baldwin gigioneggia, e con rara autoironia mostra senza veli un fisico da elefante marino. Più ingessato Steve Martin – il cui personaggio è appena sbozzato – che pare risentire degli stessi effetti collaterali sui quali il chirurgo plastico mette in guardia Jane a inizio pellicola…
Ne sono passate sullo schermo di commedie sentimentali sulla “terza età” negli ultimi anni, e una delle migliori è farina del sacco della stessa Meyers (Tutto può succedere). Si può quasi parlare di un genere a sé, spesso in grado di fare la felicità delle signore spettatrici.
È complicato non delude e garantisce un paio d’ore di schietto divertimento, sebbene facciano difetto personaggi di caratura superiore: non c’è niente di simile al maniacale misantropo interpretato da Jack Nicholson in Qualcosa è cambiato, tanto per essere chiari. Ma il tema di fondo è sempreverde, esemplare in un’epoca che ha svincolato la mezza età dalla saggezza che un tempo le veniva riconosciuta per partito preso. È un tema ben reso dagli snodi di sceneggiatura, e sostiene che è concesso sbagliare anche a sessant’anni, perché è l’unica maniera per imparare a fare meglio in futuro. Anche quando un futuro potrebbe non esserci, per raggiunti limiti d’età.
Gianluca Wayne Palazzo
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