Con Paolo Pietrangeli siamo effettivamente dentro il “rosso colore di un tempo”. Ed è un ricordo enorme, bellissimo. Un ricordo da viversi anche, speriamo, come un ansia profetica. Paolo Pietrangeli, cantautore, musicista, regista cinematografico, regista televisivo, scrittore, anche esponente, appunto, della cultura sessantottina, quella della meglio gioventù. Tra i suoi cimeli cinematografici: Bianco e Nero, 1975, Porci con le ali, 1977, I giorni cantati, 1979. Cimeli musicali: soprattutto Contessa ma anche Risoluzione dei Comunardi, Valle Giulia, E’ finito il 68, Il vestito di Rossini, Ho insultato il movimento, Il cavallo di Troia, Pietralata ’96, ovvero le mitiche canzoni di un tempo, quello che è stato proprio “il rosso colore di un tempo”. Ultimo libro conosciuto, ma è anche l’unico, almeno sino a questo momento: Una spremuta di vite, 2014. Paolo Pietrangeli rappresenta in pieno, oggi come ieri, culturalmente ed attraverso la sua arte, il tempo delle speranze e delle utopie, ti fa proprio guardare indietro e pensare a quando avevi venti anni. Insomma a quando vivevamo tutti in una Italia ancora affluente, quando esisteva ancora un partito comunista italiano vero e forte, quando vi erano le ideologie marcate e nette.
Cantava Pietrangeli in Contessa: “…compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e portate il martello, scendete giù in piazza e picchiate con quello, scendete giù in piazze ed affossate il sistema…”. E le violenze, si dice, che in nome di queste ideologie esplodevano? Anzi qualcuno pensa decisamente che, forse, quelli non erano tempi belli. Noi rispondiamo anzi, ed assolutamente, che questi di oggi sono senz’altro peggiori. Ieri c’era piuttosto paura? Ed oggi c’è disperazione e solitudine. E non vi è nemmeno traccia di rabbia, solo e semplicemente solitudine e silenzio. Anzi compiacimento del malessere e della ingiustizia. Il mondo che ieri la classe operaia aveva in mente era, innanzi tutto, un sano principio democratico: uno stipendio ad esempio, anche misero, 1500 euro al mese, ma elargito tutti i mesi e per tutta la vita attiva. Uno stipendio che poi sarebbe stato sostituito, dopo una vita vissuta con dignità, dalla pensione. Tutto poco, ma tutto democraticamente regolare. E’ cosi insomma che puoi coronare i tuoi piccoli grandi sogni familiari, pagare il mutuo, comprare la cucina, comprare l’auto, anche se Francesco Guccini quando canta dice che “nelle auto prese a rate Dio é morto…”. Ma è così che puoi fare studiare tuo figlio, anche Paolo Pietrangeli cantava in quel tempo, ma con una decisa ribellione al sistema: “l’ operaio vuole il figlio dottore…, il figlio che le cose le sa…”.
Ma torniamo nella grammatica delle nostre cose: ad un certo punto il cinema incontra Paolo Pietrangeli. Anzi nel cinema Paolo Pietrangeli ci è proprio nato, lo ha respirato e vissuto sin da giovanissimo. Paolo Pietrangeli è cresciuto dentro, e tra le idee, del migliore cinema italiano: primo fra tutti il papà, il regista Antonio Pietrangeli, ma anche Age, Furio Scarpelli, Turi Vasile, Pier Paolo Pasolini, Ruggero Maccari, Ennio Flaiano, Ettore Scola, tutti fedeli collaboratori del papà, che poi, proprio quest’anno, il prossimo ottobre, Antonio Pietrangeli sarà finalmente omaggiato alla Festa del cinema di Roma. Ed è già un ottimo appuntamento questo, da appuntare decisamente in agenda, un grazie per questo deve andare al nuovo direttore della manifestazione, il giornalista Antonio Monda. In questa rubrica spesso abbiamo trattato i figli d’arte e spesso ci siamo soffermati sui celebri genitori. Antonio Pietrangeli è stato un regista cinematografico profondamente raffinato, colto, nonostante abbia navigato soprattutto nel mare dalle acque, spesso facilmente torbide, del movimento culturale della commedia all’italiana, e nel periodo in cui la commedia all’italiana stava andando proprio verso i suoi minimi storici culturali. Le pellicole di Antonio Pietrangeli ad esempio, ed invece, sono sempre state tra le più raffinate, tra le più eleganti, tra le più sensibili e tra le più politiche e socialiste del fruttuoso ed interessante movimento. Titoli quali Il sole negli occhi, 1953, Adua e le compagne, 1960, La parmigiana, 1963, La visita, 1963, Io la conoscevo bene, 1965, soprattutto, restano tra le più indiscutibili sul piano delle responsabilità culturali e sociali del periodo.
Comunque Paolo Pietrangeli regista, intendiamo già al suo primo film, veniva considerato, sempre e soprattutto, il cantautore. Quando gira ed esce sugli schermi il suo primo film, Bianco e Nero, 1975, potente documentario sulle lotte combattute dal paese per la difesa delle istituzioni e per il rafforzamento della democrazia, subito dopo la fine della guerra, Paolo Pietrangeli è ancora, sempre, il cantautore di Contessa. Dice Paolo Pietrangeli: “c’è stata una certa fatica a considerarmi, in quel periodo, anche un autore del cinema, i critici avevano in mente soprattutto le mie canzoni, e male, forse, potevano digerire questa intrusione di un cantastorie nel campo della settima arte. Insomma veniva poco capita. Non era facile per loro vedere un cantautore anche dietro la macchina da presa…”. Eppure Paolo Pietrangeli le sue esperienze nel cinema le aveva pur fatte, e tutte di prestigio e rigore, con registi come Luchino Visconti, di cui è stato l’aiuto per Morte a Venezia, 1971, e Federico Fellini, di cui è stato l’aiuto per Roma, 1972. Insomma certamente esperienze professionali formative ed indimenticabili. Naturalmente il cinema era, da sempre, un’altra grande passione di Pietrangeli, legata certamente anche alla sua vita adolescenziale, agli affetti, una adolescenza ed una infanzia in fondo sempre attorniata da grandi ed affascinanti personalità del cinema. Bianco e nero ci aveva particolarmente colpiti, nel momento deputato, il 1975, il film ci era piaciuto molto, semplicemente, rammentiamo, era piacevole e duro proprio nella sua struttura “spettacolare” e proprio nella sua struttura “emotiva”, un film basato effettivamente sulla coerenza politica (la coerenza politica era una educazione del tempo), un discorso davvero netto, puntuale, molto documentato e chiaro sul fascismo di ieri e di oggi. Un capolavoro davvero nel genere sociopolitico di informazione. Già all’epoca avevamo menzionato un passo di questo bel film, proprio l’idea cinematografica che ci aveva fatto gridare decisamente al capolavoro democratico, le dichiarazioni al limite di ogni libertà e di ogni pensiero umano dei deputati del Movimento Sociale Italiano, come Giorgio Almirante: “…ricorreremo ad ogni mezzo se i socialcomunisti andassero al potere…, come Pino Rauti: “…sono fermamente contrario alla democrazia parlamentare…, come Ciccio Franco (sembrerà strano ma nel parlamento italiano c’era un deputato missino che si faceva chiamare con questo nome): “…comunisti, vi bruceremo vivi…”, e poi trovare spazio, infine, alla domanda di una donna in lacrime, durante l’omaggio del Presidente della Repubblica alle vittime dell’attentato al treno Italicus, una domanda che era di tutto il popolo democratico ed antifascista: “Signor Presidente, che cosa fate, oggi, per liberarci di questi criminali? …
“…Facciamo il possibile…”…
“No, non mi pare signor Presidente, non mi pare proprio…”…
Il secondo film di Paolo Pietrangeli, poi, Porci con le ali, tratto dal libello, così veniva chiamato e non certo, pensiamo, per disprezzarlo, di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice, in qualche pagina anche Giaime Pintor aveva dato il suo apporto, non piacque moltissimo né al pubblico pagante e nemmeno alla critica più militante. Il libro aveva avuto un enorme seguito tra i lettori nell’estate del 1976, era diventato finanche un caso letterario, qualcosa che si era impregnato persino entro le coscienze ed entro la formazione politica, fortemente militante e partecipata, dei giovanissimi di quella era (ormai geologica ? ). Il romanzetto in qualche maniera aveva formato davvero emuli, un successo commerciale che rapportato ai giorni nostri, o almeno a quelli più recenti, può richiamare decisamente il nome di Federico Moccia, per esiti di vendita e per la aderenza psicologica precisa dei suoi personaggi protagonisti, verso le generazioni più giovani, al suo Tre metri sopra il cielo, e l’emulazione nevrotica nel caso del romanzo di Moccia si era espressa attraverso la posa dei lucchetti a ponte Milvio, nel libretto della Ravera e di Lombardo Radice attraverso i comportamenti, proprio degli adolescenti dell’era, come descritti dal libro. Subito dopo l’uscita del film, nella primavera del 1977, ci furono polemiche letterarie e giornalistiche a iosa. Noi che eravamo presenti, anche attraverso un dibattito corposo su La Città Futura, un settimanale dell’epoca edito dalla Federazione Giovanile Comunista Italiana, diretto, ahinoi, da Ferdinando Adornato, avevamo raccolto in pieno le irate proteste. In realtà, ricordiamo, il film non piaceva davvero a nessuno. A film concluso dunque Pietrangeli riceveva, soprattutto dal movimento, più insulti che critiche. Una su tutte, ad esempio, era che il film veniva visto e considerato, proprio nella sua politica culturale, piuttosto “di destra”. In quegli anni, e noi pensiamo giustamente, ancora si ragionava con canoni e vincoli ideologici. Marco Lombardo Radice ad esempio diceva che “il libro forse non era di sinistra, ma senza dubbio era stato scritto da sinistra”. Poi per definire il lavoro di Pietrangeli alla regia Lombardo Radice usava il termine “di infame”, per quello della recitazione “da cani”, per quanto riguarda la scelta degli ambienti (che per la grammatica del libro era davvero centrale e determinante) usava la considerazione di “ridicolo”, infine il lavoro di sceneggiatura, definita da Lombardo Radice addirittura “massacrata dalla dirompente presunzione di Pietrangeli”. Ebbene si, il film si ritagliò subito larghi dissensi. Poi, ultimo insulto, Paolo Pietrangeli con il cinema c’entrava solo per via del padre. Intanto come e perché il progetto filmico del romanzo Porci con le ali finisce tra gli interessi di Pietrangeli regista? Dice Paolo Pietrangeli: “gli autori del libro avevano subito pensato a me per la riduzione cinematografica del loro romanzo. Io non avevo letto ancora Porci con le ali quando sono stato raggiunto dalla telefonata di Giaime Pintor, però avevo seguito con molto interesse tutto il dibattito che quel libro era riuscito a crearsi sul territorio dei giovani più radicati, politicamente, anzi idealmente, a sinistra. Un articolo di Giuliano Zincone sul libro, pubblicato sul Corriere della Sera, poi mi aveva particolarmente interessato…”. Continua Paolo Pietrangeli: “il mio interesse lo avevo in fondo riscontrato nella struttura epistolare di Porci con le ali, quello che era uno scambio di lettere tra due compagni adolescenti poteva diventare qualcosa che rifletteva in pieno il distacco che necessariamente corre tra la forma ed il contenuto, tra la vita stessa ed il simulacro della vita, insomma tra ciò che è davvero autentico e tra ciò che davvero autentico non lo è… insomma il mio interesse era davvero molto lontano, in fondo, dal valore collettivo che aveva preso il dibattito sul film, sui giornali ed anche tra le sedi dei movimenti di sinistra…”
In conclusione che dire, Paolo Pietrangeli? Semplicemente “bellissimi quegli anni? “Bellissimi senz’altro” dice Paolo Pietrangeli “tutto era davvero notevole, cinema, musica, canzoni, letteratura, pittura. Ma gli anni di oggi devono comunque essere vissuti senza un filo di nostalgia per quel passato. Perché la nostalgia è sempre molto vicina alla sconfitta, ed anche molto vicina alla depressione”. Ora Paolo Pietrangeli inforca la chitarra, la strimpella. Non sappiamo quanto può centrare nel nostro contesto ora, ma questa chiusura ci pare effettivamente simpatica. Paolo Pietrangeli suona e canta:
ancora adesso è una gran bella donna…
accavalla le gambe come allora….
vi conoscete? ….
non credo…
vi presento io, posso? ….
mi guarda manco avessi un orzaiolo…
non mi pare, piacere, è qui da solo?…
piacere un cazzo, ma vattene a fanculo…”
Giovanni Berardi