Domiziano Cristopharo non sta mai con le mani in mano e torna con The Transparent Woman, opera claustrofobica, misteriosa, ossessiva, scritta da Andrea Cavaletto, partendo da un soggetto di Francesco Massaccesi, Elio Mancuso e dello stesso Cristopharo
Viene quasi da chiedersi dove il buon Domiziano Cristopharo trovi tutte queste energie per sfornare, con indubbia passione, un film dietro l’altro, film destinati a girare il mondo e che donano risalto al circuito degli indipendenti. Fatto sta che il regista non sta mai con le mani in mano e torna nuovamente con The Transparent Woman, opera claustrofobica, misteriosa, ossessiva, scritta da Andrea Cavaletto, partendo da un soggetto di Francesco Massaccesi, Elio Mancuso e dello stesso Cristopharo, che riecheggia, a suo modo, il giallo/erotico italiano, sottogenere molto in voga nella seconda metà degli anni sessanta e dei primi settanta, portato a internazionale grandezza da Umberto Lenzi prima e Sergio Martino poi.
Protagonista indiscussa la pornodiva Roberta Gemma che regala una convincente e, cosa da non sottovalutare, mai pacchiana o esagerata interpretazione nei panni di Anna, una ragazza non vedente, ma estremamente sensibile al mondo che la circonda, una donna che non guarda, per ovvie ragioni, ma ascolta, odora, tocca, una donna dalle sensibilissime capacità percettive, le quali pian piano la renderanno vittima di una escalation di mistero e terrore nella nuova casa dove si si ritrova ad abitare con il marito Carlo, interpretato da Arian Levanael.
Partendo da queste premesse, il film si dipana lentamente, al chiuso del mai troppo accogliente focolare domestico e le atmosfere che il regista cerca di ricreare, affidandosi ad una regia d’attesa, attenta ai particolari e per certi versi, se proprio ci si vuole appigliare ad un più illustre riferimento, polanskiana, sono sicuramente avvolgenti nella loro voluta staticità; è un film che tende a prendersi i propri tempi e i propri spazi, senza paura della noia e narra, soprattutto attraverso il generoso corpo della Gemma, quanto il senso di disagio dinanzi ad uno spazio nuovo, sconosciuto, minaccioso, possa suggerire vivide vibrazioni negative, vibrazioni e sensazioni tipiche di un luogo dal passato oscuro che tendiamo a scacciare, rifiutare, ma che allo stesso tempo vorremmo afferrare. Un passato mefistofelico che si nutre proprio della fragile, spiccata sensibilità della protagonista, instaurando con lei un subdolo dialogo costellato di odori, rumori, paure e paranoie.
La casa è, dunque, un ulteriore personaggio con una propria, sinistra personalità, essa osserva, aspetta e si stringe sempre di più intorno alla figura affascinante della cieca Anna che ne avverte l’ostilità e cerca di comprenderne le motivazioni anche attraverso un dialogo, peraltro inesistente, con il marito Carlo, altro carattere particolarmente enigmatico, sfuggente ma forse il meno interessante del plot, scontato e privo del giusto mordente, diciamo pure il più telefonato e non del tutto ben caratterizzato.
Domiziano Cristopharo sa indubbiamente mettere in scena e creare atmosfere giuste, sa muovere la macchina da presa senza farcene avvertire il peso, donando così alla storia l’adeguata suspense, valorizzando, allo stesso tempo, il corpo burroso della generosa Gemma, che si mostra sotto la doccia in tutta la sua avvenenza, ammiccando, nemmeno troppo velatamente, all’icona di genere Edwige Fenech, della quale riprende le prorompenti e mai volgari forme.
Inoltre il film si crogiola in un’elegantissima fotografia, pop in alcuni tratti, dove gli accesi colori suggeriscono la ”reale irrealtà” di un microcosmo a tre, lei, lui e la casa, intriso di una magniloquente tragicità, solo a tratti un po’ soporifera a causa di alcuni momenti troppo impassibili e fragili, ma che nel suo incedere conduce lo spettatore verso una conclusione capace di alimentare ancor di più una tensione donata solo in pillole durante gli ottanta minuti di film.
Suadente, inoltre, lo score di Salvatore Sangiovanni e Giovanna Nocetti, il quale, in più di un’occasione, si ritrova a sostituire il vero punto debole del film e cioè gli striminziti ed un po’ infantili dialoghi.
The Transparent Woman è dunque un film che mette ripetutamente alla prova lo spettatore tenendolo sulla corda, un film che rischia nella sua insistita lentezza, bypassando ogni tipo di effetto sorpresa, risaltando, dichiaratamente, gli stati d’animo dei protagonisti, le loro sensazioni, le loro percezioni e quelle atmosfere ossessive tipiche di un certo giallo all’italiana, dal quale Cristopharo sembra sempre più palesemente influenzato ed innamorato.
Un film riuscito? Non riuscito? Un po’ troppo introspettivo? Chissà, ognuno ha la propria sensibilità, proprio come la bella protagonista, di certo è un film che, paradossalmente, sfugge ai generi, horror, giallo o erotico che dir si voglia, pur essendo, a tutti gli effetti, un film che ammicca al genere, un’opera che stuzzica una certa curiosità e nel suo teatrale immobilismo si mostra come un interessante viaggio nelle sempre più ignote lande della paranoia.