Tutto ciò che resta di questo Nemico invisibile è qualche apprezzabile momento di violenza feroce, presumibilmente riconducibile anche al coinvolgimento di Refn, ma è solo un’ipotesi
Il nemico invisibile è un film disconosciuto dal regista, dal cast e dal suo produttore, Nicolas Winding Refn, che avrebbe dovuto dirigerlo prima che la scelta ricadesse su Paul Schrader. La premessa è necessaria, perché Schrader attribuisce la totalità delle colpe del fallimento di questo malriuscito thriller spionistico alla Lionsgate, rea di aver “derubato” il regista della sua opera mentre era ancora in corso di definizione, e di avere smantellato qualsiasi criterio che ne stesse ispirando la realizzazione. Soprattutto, la Lionsgate si è fatta carico del montaggio, senza tenere minimamente in considerazione l’opinione di Schrader o Refn. E non si può dare torto a Schrader, per una serie di motivi: il film è davvero insignificante, e ciò su cui l’équipe si stava concentrando nel progetto originario, a detta del direttore della fotografia Gabriel Kosuth e del regista stesso, avrebbe reso (in parte) giustizia agli sforzi di questo intrigante trio Schrader-Refn-Cage. La luce, i colori e l’atmosfera che Schrader ha inseguito in maniera ostinata durante la lavorazione sono andati perduti a causa di una color correction invasiva che ha conferito alla pellicola un tono da film d’azione di quarta categoria, buono per quei Dvd trasmessi sui monitor dei pullman, in viaggi notturni per lunghe tratte tipo, che so, Italia-Germania. E si deve per forza essere d’accordo con Schrader, perché è la sua filmografia a parlare chiaro, a dirci quanto morbosa riesca a essere l’atmosfera delle sue narrazioni, quanto squallido e malato risulti l’ambiente urbano che ha sempre contraddistinto il suo immaginario.
Tutto ciò che resta di questo Il nemico invisibile è qualche apprezzabile momento di violenza feroce, presumibilmente riconducibile anche al coinvolgimento di Refn, ma è solo un’ipotesi. Ma Paul Schrader sta invecchiando male. Inutile girarci intorno, bisogna affrontare la perdita, elaborare il lutto. Questa sentenza è dettata in parte dal fatto che Il nemico invisibile, anche con un montaggio differente, il director’s cut e la fotografia richiesta da Schrader, è carente nella sceneggiatura, con questa abusata contrapposizione tra Occidente e Medio Oriente che ha sinceramente sfiancato. Ma soprattutto, questa sentenza, affonda le sue motivazioni in The Canyons (2013) che, nonostante il coinvolgimento di Bret Easton Ellis, era risultato un noioso tentativo incompiuto da parte di Schrader, di ripetere quei fasti di allucinazione e perversione che avevano reso memorabili lavori come Hardcore (1978) e Auto Focus (2002). E quindi, forse, è stata una fortuna il fatto che Il nemico invisibile abbia vissuto quest’odissea, perché se le volontà di Schrader fossero state rispettate, la delusione sarebbe stata ancora più cocente in caso di fallimento (di cui fortemente si sospetta). Perché Schrader è Schrader, questo lo sappiamo, ma un montaggio diverso, più vicino al cinema d’autore che al Dvd del pullman sopraccitato, non avrebbe certo oscurato certe battute di dialogo dozzinali, certe scenografie prive di fascino o una recitazione che è sembrata parecchio al di sotto delle potenzialità del cast. Altra nota interessante è l’avvicinamento estetico di Nicolas Cage al più recente canuto, etereo, Pippo Baudo.