LABORATORIO ASSISI SUONO SACRO 2015
Ciclo di incontri “Per un suono povero”
4° incontro: sabato 13 giugno ore 17:30
Villa Taticchi – Ponte Pattoli (PG)
Sono Dio? Ho accumulato in me tante cose grandi! La testa mi scotta da scoppiare. Troppa potenza vi è racchiusa. Volete (ne siete degni) ch’essa sia per voi? Nemmeno quelli che hanno crocifisso Cristo erano degni di lui.
Più realisticamente: il genio risiede nella casa di vetro, ma in quella infrangibile che procrea idee. Dopo aver creato cade preda della follia. Fa per afferrare dalla finestra il primo che passa. Gli artigli demoniaci della sua mano d’acciaio afferrano. Mi facevi da modello, esclama con tono di burla, spalancando la bocca vorace, ora sei materia per la mia opera. Ti scaglio contro la parete di vetro perché ci resti appiccicato… (Poi vengono gli amatori dell’arte e contemplano da fuori la scena sanguinosa. Accorrono i fotografi. Arte nuova, proclamano il giorno dopo i giornali; e le riviste specializzate la designano con un nome che finisce in ismo) (P. Klee, Diari, 1898-1918)
L’idea di un ciclo di incontri di “Assisi Suono Sacro”, in collaborazione con “Terra d’arte”, nasce nella speranza di un’arte che sappia giungere alla bellezza facilmente, che si opponga al brutto senza forza, che lotti contro se stessa solo donando il proprio essere, e senza alcun altro mezzo, senza effetti, elaborazioni, trucchi, nella speranza di superare ogni abbattimento e paura, che dalla vita risuona sempre nella musica, e nella pittura, e nelle arti, quando queste non giungono alla bellezza facilmente
Gli incontri si articolano in conferenze/dibattito, laboratori esperienziali, concerti/ascolti e apericena.
Assisi Suono Sacro: immagini e omnicrazia in musica
pubblicato in ‘L’Attualità. Periodico mensile di società e cultura’, n. 6, giugno, p. 12 (‘Problematiche storiche e sociali’)
Un suono sacro «è tale solo se cercato come suono povero», abbiamo scritto, io e Stefano Valente, nel Manifesto per un suono povero. Il segreto di un suono sacro che vorrebbe stringersi alla città che dà il nome a Francesco – abbiamo indicato – non è un mistero misterico, un mistero dei misteri che esclude sempre qualcuno per la sua struttura opposta alla comunità di tutti, contro-essoterica. Questo segreto omnicratico del suono, questo mistero del sacro è piuttosto qualcosa che abbiamo sotto gli occhi, e che contemporaneamente ci si presenta come un compito: vedere, semplicemente, senza proiettare, o proiettarsi in ciò che si vede, in ciò che noi vediamo. Vedere, quel che vediamo, non come un possesso – la nostra visione – bensì vedere verso noi. Essere convinti di questo mistero che dobbiamo solo vedere – qualche volta la cosa suona, sembra proprio così e non c’è più ragione di dubitarne – lascia indovinare un punto critico di passaggio che concerne suono e immagine a un tempo: dal sacro al santo. Si tratta di un punto di conversione topologico presente nella ricerca stessa di un suono sacro, un punto, precisamente, che deve avere luogo da qualche parte, perché quel suono sia sacro nel senso di un alleggerimento, e non invece l’identità di un sacrificio di sé, di una proiezione, di una identificazione proiettiva. Non basta a un suono essere sacro, deve essere santo, e per essere santo deve essere povero, contento, come Francesco, idiota, come Francesco, illetterato, come Francesco, dove la letizia si presenta senza la macchia di una domanda, che ci costringerebbe a un suono sacro, e quindi a muoverci ancora una volta contro noi, a proiettare a partire da noi, noi. Se la letizia che cade col suono non sarà stata perfetta non potrà mai cadere il sospetto che in quel suono suonato da noi si sia trattato solo di un sacrificio, e quindi ancora una volta solo dell’adorazione della vita come dell’adorazione di una potenza proiettiva. E invece si tratta, secondo noi, nel suono sacro, quando povero, più di una persona che si ama perché ci ama mentre andiamo verso noi, che una persona cui si deve qualcosa, che ci costringe a… suonare, vedere. No. Nessuna coazione a suonare nel suono che dal sacro è passato attraverso il suo punto di crisi, che chiamiamo, qui, santo. E ciò che vale per ciò che si sente deve valere per ciò che si vede. Ora, quella “persona” che viene verso noi – il suono povero – è forse anche quel tu omnicratico (cf. la teoria politica di Aldo Capitini e la teoria della cultura di Vittorio Mathieu a un tempo) «su cui fondare in maniera sempre arrischiata una sintesi che sia viva e vitale, sempre aperta alle sollecitazioni dell’altro», dicevamo (con Valente) nel Manifesto per una filosofia dell’inter-cultura pubblicato nel numero di maggio de ‘L’Attualità’? E quando in La musica fa bene? (titolo completo: “Il suono crea forme? La mucca fa latte? La musica fa bene? Vibroterapia, dal sacro al santo: tesi su battere il tempo e povertà”), articolo a puntate il cui primo episodio data sempre maggio, si ragiona sull’animale “musicale” cercando di evitare “proiezioni” antropomorfe, non si sta forse tornando sul grande folle gesto di San Francesco d’Assisi? Il gesto di parlare agli uccelli? Come le mucche di Sergio Bonato, che battono il tempo a noi – e non noi a loro – così gli uccellini di Francesco, ci indicano un governo di tutti.
Michele Bianchi