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Pitza e datteri

Fariborz gira con onestà e mestiere una storia tra possibile e surreale, facendo arrivare allo spettatore messaggi profondi tramite il sorriso e la leggerezza, ma il film manca spesso e volentieri di energia e pathos

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Già autore del drammatico I fiori di Kirkuk (2010), il regista iraniano Fariborz Kamkari, oggi naturalizzato in Italia, torna con un piccolo film dai grandi intenti, intitolato Pitza e datteri, il cui principale scopo dopo i tanti atti di razzismo che hanno di recente colpito l’Italia è quello di mostrare, tra ironia e commedia, l’importanza della tolleranza e dell’ecumenismo, religiosi e culturali, ed i danni prodotti dal fondamentalismo di ogni provenienza.

La storia è quella di una piccola comunità islamica stabilitasi a Venezia che deve fronteggiare una crisi imprevista: il luogo di culto, dove abitualmente si riunisce, è stato infatti evacuato dalle forze dell’ordine ed ha lasciato il posto ad un hair stylist unisex, gestito da una donna turco-francese, musulmana e progressista, che tra un taglio di capelli e l’altro organizza “collettivi femministi”. Viene chiamato in aiuto alla piccola comunità un giovanissimo imam di origini afghane, cresciuto in Italia, con il compito di guidare il nucleo (anche “armato”) composto da poche persone male in arnese fra cui un veneziano abbandonato dal padre ed inseguito dalle autorità perché sotto sfratto esecutivo (un bravissimo Giuseppe Battiston, pieno di acrimonia perché la donna che ama lo respinge) e da un curdo “che non può tornare ma solo e sempre andare”.

Fariborz gira con onestà e mestiere una storia tra possibile e surreale, facendo arrivare allo spettatore messaggi profondi tramite il sorriso e la leggerezza, ma il film manca spesso e volentieri di energia e pathos, oltre che di organizzazione e ritmo nella messa in scena. Venezia è la protagonista incontrastata del film, città simbolo dell’incontro fra culture, raccontata dall’occhio del regista nella vita quotidiana e nelle mille, sorprendenti inquadrature di luoghi celebri o ancora da scoprire. “Oggi la ‘cultura’ islamica, di cui anche io faccio parte ha affermato il regista fa paura a molti, a causa di minoranze integraliste che parlano a nome di tutti, ma il musulmano moderno, integrato, non fa notizia: ho deciso di fare una commedia che facesse sorridere, senza voler offendere nessuno, poiché anche nel mono islamico trattiamo temi seri con il sorriso e c’è una tradizione di comicità. In questo film si parla di ‘umanità’, dell’importanza dell’incontro e della convivenza ed anche del ruolo decisivo delle donne che, anche in Maghreb, sono portatrici di cambiamenti”. Nel cast, oltre a Giuseppe Battiston, Maud Buquet, Mehdi Meskar, Hassani Shapi, Giovanni Martorana.

Elisabetta Colla

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