In Sala

The Assassin

The Assassin ha il pregio assoluto di rivoluzionare il concetto di immagine nel genere scelto e stravolto. Altrettanto rivoluzionario, l’approccio alla narrazione in sottrazione risulta faticoso e frustrante, soprattutto se ci si avvicina al testo in movimento secondo una lettura occidentale o occidentalizzante. Se la nuova visione cinematografica di Hou Hsiao-Hsien ci stupisce e rapisce senza ombra di dubbio, non è altrettanto scontato e immediato il piacere nel leggerne il testo, davanti al quale non manca occasione di sentirsi frustrati

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Sinossi: Il film, vagamente basato storia scritta verso la fine del IV secolo Nie Yinniang di Pei Xing, è ambientato nell’VIII secolo in Cina durante gli ultimi anni della dinastia Tang. Il film racconta di Nie Yinniang (interpretata da Shu Qi), un’assassina che ha il compito di uccidere funzionari governativi corrotti, sotto incarico del suo padrone, Jiaxin, una suora che l’ha accudita fin dall’età di dieci anni.

Recensione: Hou Hsiao-Hsien segna il suo ritorno dietro la macchina da presa con The Assassin, un wuxiapian insolito, molto poetico, poco combattuto, estremamente spettacolare, narrativamente molto rarefatto. Nella Cina del IX secolo Nie Yinniang torna dalla sua famiglia dopo il lungo esilio presso una monaca che l’ha iniziata alle arti marziali. La sua missione da “assassina” è di uccidere i tiranni. Nie Yinniang è imbattibile con la spada ma nel suo cuore alberga esitazione, un sentimento che non si addice alla sua figura. Per temprarla, la monaca le ordina di uccidere il proprio cugino nonché amato Tian Ji’an, governatore dissidente di Weibo.

Il film si poggia su una trama sottile, minimalista e rarefatta, ed è illuminata da una fotografia magnifica di luci e di ombre firmata Mark Lee Ping Bin che apre la storia con un bianco e nero netto per poi dischiudersi in immagini dai colori ora vividi e caldi, ora cupi e intensi. Oggetti e paesaggi si definiscono e staccano dallo sfondo grazie all’uso deciso del contrasto e della luce, che ne definisce corposità e valore. L’azione tipica del genere viene mostrata poco e niente e, nei brevi momenti in cui la spada viene sfoderata, i movimenti si fanno soavi e leggere, vagamente alla maniera di Zang Yimou.

The Assassin è un wuxia atipico perché dell’assassino al regista taiwanese non interessa l’abilità nel dominare le arti marziali ma lo spazio nella sua mente in cui si annida il dubbio, il perdono, il senso di colpa, la debolezza, la passione, l’amore, in poche parole il sentimento. Strappata alla famiglia per essere addestrata ad uccidere i governatori corrotti, Nie Yinniang ha seguito con la mano gli insegnamenti della sua maestra, mentre il suo cuore è rimasto colmo di sentimenti contraddittori che la rendono umana, una macchina da guerra difettosa. L’azione si dipana a partire dal passato della combattente, dal momento in cui la monaca esprime il suo disappunto sulla sua mente incerta e rimanda l’allieva a casa a uccidere l’uomo amato. Il tempo della memoria non ha colori. Quando l’assassina fa ritorno a casa, al suo presente, dall’uomo amato a cui era stata promessa in sposa e tra le cui braccia giace ora un’altra donna, le immagini si caricano di colori, i colori delle passioni che accendono il cuore di Nie Yinniang e a cui lei è incapace di imporre il suo dominio. Nie Yinniang dovrebbe e potrebbe in un sol colpo uccidere Tian Ji’an, per risolvere così il dilemma che la abita e diventare un’assassina perfetta. A questo punto la trama agita si dilegua, quasi scompare, per farsi lotta interiore in una figura melanconica e respinta dai due mondi conosciuti, il suo luogo natale e quello delle arti marziali. A Hou Hsiao-Hsien poco importa dare gioco a combattimenti mozzafiato per dimostrare le abilità della sua assassina, per il regista taiwanese l’essenziale è far vibrare il tumulto di emozioni che infiacchiscono la combattente rendendola così umana, donna.

The Assassin ha il pregio assoluto di rivoluzionare il concetto di immagine nel genere scelto e stravolto. Altrettanto rivoluzionario, l’approccio alla narrazione in sottrazione risulta faticoso e frustrante, soprattutto se ci si avvicina al testo in movimento secondo una lettura occidentale o occidentalizzante. Se la nuova visione cinematografica di Hou Hsiao-Hsien ci stupisce e rapisce senza ombra di dubbio, non è altrettanto scontato e immediato il piacere nel leggerne il testo, davanti al quale non manca occasione di sentirsi frustrati.

Francesca Vantaggiato

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