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Future Film Festival: la recensione di “Giovanni’s Island”, vincitore a Bologna del Platinum Grand Prize

Il premio principale del Future Film Festival è andato a Giovanni’s Island di Mizuho Nishikubo “per la qualità della scrittura cinematografica, l’intreccio tra i sentimenti privati e la grande Storia, la delicatezza, la poesia e la portata epica. E per la tecnica di animazione funzionale alla storia, in grado di donare le medesime emozioni a grandi e bambini…”

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Le motivazioni per cui la giuria, all’ultima edizione del Future Film Festival, ha scelto di assegnare il Platinum Grand Prize a Giovanni’s Island di Mizuho Nishikubo, ci aiutano già a inquadrare il valore dell’opera: “Per la qualità della scrittura cinematografica, l’intreccio tra i sentimenti privati e la grande Storia, la delicatezza, la poesia e la portata epica. E per la tecnica di animazione funzionale alla storia, in grado di donare le medesime emozioni a grandi e bambini…”
Da parte nostra, assoluta condivisione dei meriti ravvisati in questo lungometraggio d’animazione giapponese che ha alle spalle l’attività di uno studio importante, i cui lavori in questi anni hanno spesso lasciato il segno. Si tratta di Production I.G. E a tal proposito possiamo fornire qualche sintetica coordinata, per ricordare agli appassionati l’estrema validità delle loro produzioni: da lì provengono i film del grande Mamoru Oshii (tra cui Patlabor The Movie, Ghost in the Shell, Ghost in the Shell: L’attacco dei Cyborg), ma anche Una lettera per Momo di Hiroyuki Okiura, per approdare infine alla collaborazione con Wit Studio e altri da cui è nata la recentissima mini-saga horror/sci fi tratta da un manga di successo, che è già approdata nelle sale italiane col suo primo capitolo L’attacco dei Giganti Parte 1: Arco e frecce scarlatte.

Proprio nell’anno in cui il festival bolognese ha voluto onorare un tragico anniversario, i settant’anni trascorsi dalla criminale distruzione di Hiroshima e Nagasaki per mano americana, riproponendo in pellicola lo splendido e straziante Barefoot Gen (Gen di hiroshima) di Masaki Mori, il premio più importante del Future è andato a un altro film d’animazione, in cui il passato recente del Giappone occupa un posto di primo piano. Ma la cornice storica in cui il racconto si snoda, per quanto a suo modo emblematica, non è certo tra le più conosciute in occidente: parliamo dell’occupazione sovietica di Shikotan, una piccola isola settentrionale facente parte delle Curili (arcipelago oggetto ancora oggi di una disputa territoriale tra Russia e Giappone), al termine della Seconda Guerra Mondiale. In Giovanni’s Island si tenta, con successo, di rendere lo sguardo incerto verso il futuro e il clima di instabilità sociale, facilmente accostabili al paese del Sol Levante nell’immediato dopoguerra, attraverso il filtro delle reazioni vivaci, spontanee e fortemente emotive che due fratellini, molto legati tra loro, contrappongono ai cambiamenti che si profilano nella loro isola e nella loro vita, con l’arrivo degli occupanti sovietici.

Quello diretto da Mizuho Nishikubo è un esempio di animazione matura e capace al contempo di assoluta leggerezza, sognante ed eppure ben calata nella realtà storica, poetica ma attenta anche alla descrizione di luoghi, circostanze, drammatiche cesure, quale risulta ad esempio il forzato esodo degli abitanti giapponesi dell’isola. Oltre a un gusto cromatico molto raffinato, vi è nel film un appeal cinematografico che coinvolge tanto il pathos e l’ariosità delle singole scene, quanto la pacata e genuina epicità di un asse diegetico che prende le mosse dal significativo prologo, in cui un personaggio ormai anziano fa ritorno, ai giorni nostri, nell’isola che era stata teatro dei fatti in procinto di essere narrati. L’esuberanza dell’animazione pone poi in rilievo sia le fantasie cui si abbandonano talora i giovani protagonisti, sia quel venire a contatto della società giapponese e di quella russa che, in principio, può avere esiti traumatici; ma che poi, complice il filtro dell’infanzia e del ricordo, assume anche le connotazioni dell’avventura, della reciproca curiosità, di una progressiva scoperta che coinvolge anche la sfera affettiva. E l’intelligente uso della musica (compresi i brani tradizionali russi) svolge, in tal senso, un encomiabile lavoro di avvicinamento tra mondi distanti.

Stefano Coccia

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