Candidato anche alla Camera d’Or, il film offre un cupo spaccato di quotidiana, poco squillante ma non per questo meno bruciante, sofferenza umana, femminile, in particolare, della quale però sono vittime adulti e bambini senza distinzione
Le donne registe in Iran si moltiplicano, e sono brave, penetranti, attuali. Come la giovane Ida Panahandeh, 36 anni, che presenta a Cannes il suo primo promettente lungometraggio, Nahid, nella sezione Un certain regard. Nell’Iran moderno, in una piccola città vicina al Mar Caspio, Nahid (l’intensa Sareh Bayat) vive la lacerazione di una donna divorziata cui eccezionalmente – poiché la legge in caso di divorzio prevede l’affido dei figli al padre – è stato concesso l’affidamento del figlio di 10 anni, Amir Reza, a condizione di vivere un’esistenza da eterna single ed alla quale, invece, succede di innamorarsi senza scampo di Massoud (nel ruolo Pejman Bazeghi) un vedovo bello, ricco e, come dicevano le nonne, molto ‘perbene’, con una figlia ancora piccola a carico. Ai due non resta che ricorrere alla pratica, ampiamente consentita in Iran, dei matrimoni temporanei (utilizzata in realtà per favorire ‘legalmente’ la poligamia), grazie alla quale ogni due, tre mesi ci si risposa, ma senza mai legarsi in modo permanente. La tragedia è dietro l’angolo: l’ex-marito di Nahid, Ahmad (l’attore Navid Mohammad Zadeh), violento e drogato, nonché geloso ed ancora innamorato, riporta il figlio nella sua famiglia di origine, dove tutti esprimono grande riprovazione per l’operato della povera sventurata che, pur tentando di vivere da brava moglie a casa del vedovo, non resiste all’assenza del figlio e ritorna sui suoi passi.
Candidato anche alla Camera d’Or, il film offre un cupo spaccato di quotidiana, poco squillante ma non per questo meno bruciante, sofferenza umana, femminile, in particolare, della quale però sono vittime adulti e bambini senza distinzione. La lotta emotiva fra amore materno e passione amorosa e le difficoltà sociali, legali e familiari non sono dissimili da quelle evidenziate nel film iraniano di Asghar Farhadi, Una separazione, Orso d’Oro alla 61esima Berlinale e premio Oscar per il miglior film straniero 2012, che pure racconta una storia analoga ma all’interno dell’alta borghesia di Teheran, dunque in un milieu sociale un po’ diverso. L’umiliante condizione della donna, l’angoscia che pervade l’intero film e le tematiche emergenti, però – prima fra tutte l’insensatezza di leggi quasi sempre utilizzate strumentalmente a tutto vantaggio di interessi personali – sono le stesse, ed il modo in cui vengono raccontate rivela tutta la forza, la passione ed il coraggio di una regista che non teme di parlare chiaro.