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A due passi dall’inferno

A due passi dall’inferno (il titolo originale è La campana del infierno) è uno dei pochi psycho-horror spagnoli veramente validi.

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A due passi dall’inferno (il titolo originale è La campana del infierno) è uno dei pochi psycho-horror spagnoli veramente validi. La storia della quieta ma inesorabile vendetta di un giovane, appena uscito da una clinica psichiatrica, nei confronti di sua zia (Viveca Lindfors) e delle cugine che lo fecero rinchiudere per avere la sua eredità, è raccontata con un gusto del dettaglio e un adeguato uso dei tempi che all’epoca facevano ben sperare nel suo regista, Claudio Guerin Hill, come giovane promessa dell’horror spagnolo.

Ma poi accadde ciò che si può definire la morte più bella per un vero regista horror, quella sul proprio set negli ultimi giorni delle riprese (il film venne terminato da Juan Antonio Bardem). Hill difatti cadde dal campanile che aveva ripetutamente inquadrato come luogo cruciale della vicenda. Ciò aggiunge – a patto che si sappia, appunto – un’aura di maledettismo ad una vicenda che è già di per sé malsana, con un campionario di individui di rara spregevolezza (coloro che bramano le grazie di una delle cugine del protagonista e che non esitano a lasciarla in barca al freddo di notte perché non si è concessa, fatto ancora più riprovevole perché costoro sono degli sgradevoli uomini di mezza età, laidi come se fossero usciti dal Salò di Pasolini). Ma soprattutto il protagonista (Renaud Varley) ha una delle facce più azzeccate per il ruolo che gli spetta, con un vago sorriso sempre dipinto sul volto, un incrocio tra Lou Castel e Malcolm McDowell, che alla fine, malgrado venga impiccato alla corda della campana della chiesa del paese, avrà partita vinta.

Come per ogni buon horror spagnolo che si rispetti, in La campana dell’infierno c’è quell’umorismo sardonico di stampo anticlericale che rende il film ancora più provocatorio.

Pino Bruni


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