Terra degli uomini liberi in scena dal 21 al 25 aprile, ore 21.00 e il 26 aprile, ore 18.00 al Teatro Millelire, via Ruggero di Lauria, 22-Roma.
Il testo firmato ed interpretato da Mariangela Imbrenda è diretto da Gabriele Sisci, autore anche delle musiche di scena.
Ricordiamo che lo spettacolo, tra i vari riconoscimenti, è stato selezionato presso il 3° Festival di Teatro Sociale svoltosi a Rignano Flaminio accanto alla compagnia del M° Nicola Piovani e dei detenuti del carcere di Rebibbia. In allegato immagine locandina, flyer, foto di scena e note di regia. Per info e prenotazioni visitate il sito del teatro http://www.millelire.org/ oppure andate alla pagina fb dell’evento: https://www.facebook.com/events/853331091405996/.
Lo spettacolo teatrale Terra degli uomini liberi consta di due monologhi ed un’epistola per voce e corpo femminili e tale partitura drammaturgica esiste e vive grazie a quella musicale.
Si tratta di tre storie vere, tre realtà dotate di cruda quanto amorevole pregnanza che si donano sul palcoscenico, dietro una loro esplicita richiesta, stante l’urgenza morale, civile e soprattutto umana non rinviabile di (ri)vivere e (ri)presentarsi in un contesto necessariamente performativo.
In scena, le tre protagoniste interpretate da Mariangela Imbrenda, odierne eroine tragiche, sorelle per nulla minori di numerosi personaggi femminili resi immortali dai classici della drammaturgia mondiale, rivendicano il diritto, atrocemente negato, di narrare le loro vicende, esprimersi ed essere comprese.
Siamo le profughe universali. I nostri nomi sono S., Y., A,. Fateci spazio. Abbiamo la nostra storia da raccontarvi. Aprite bene occhi ed orecchi…
Fino ad ora, in quanto donne e prima di tutto esseri umani, hanno visto in terra, sul corpo e nel cuore ripetutamente violati e straziati, il vero volto della morte: condannate a soffrire dai governi delle terre d’origine, dai carnefici incontrati lungo i viaggi della speranza, da leggi non scritte dei clan di appartenenza o da norme ben codificate dei Paesi di approdo, oltre ogni ammissibile, sopportabile e spesso immaginabile limite, hanno subito torture e violenze estreme per esser così silenziate e ridotte a non vivere più,
Fino ad ora, però in quanto donne e prima di tutto esseri umani, non hanno mai smesso di combattere. Senza armi hanno vinto contro tutto l’orrore del mondo, continuando ad amare la vita, la libertà, la bellezza ovunque essa potesse risiedere o venir cercata.
Diversissime per origine e storia, l’iraniana S. l’etiope Y. e l’ivoriana A. sono accomunate dall’essere giunte in Italia, dove provano, senza perdersi d’animo a riannodare i fili delle loro esistenze spezzate.
Un itinerario, senza dubbio, ancora da ipotizzare e costruire.
Un altro futuro da inventare e forse un giorno di nuovo da raccontare con immutate dignità e compostezza formale e verbale.
S., Y., A., dotate di ieratica presenza, sanno stare sul palcoscenico della vita di cui il teatro aspira ad esserne specchio fedele fin dalla notte dei tempi: le tre protagoniste sanno “essere” anche, come in un coro greco, tutte le voci udite nella loro esistenza ferita recuperando la potente armonia tra un discorso privato e al tempo stesso collettivo.
Gli spettatori, perpetuando e rinnovando il rito culturale del teatro, vengono posti di fronte ad una scelta consapevole di semplicità, come sinonimo di verità e non di semplificazione o povertà della messinscena, giacché quando nella vita reale si raccontano storie estremamente tragiche quali quelle vissute di Terra degli uomini liberi, il senso del pudore si rafforza, si sublima ed evita di aderire ad un prodotto grandguignolesco, di certo più adatto alle tentazioni di un cinema di forte impatto.
Voi ci vedete belle, nel fiore dei nostri anni.
Ascoltate le nostre storie cosicché possiate dirci se abbiamo torto o ragione.
Voi ci vedete giovani, con la voglia di fare, la paura di non riuscire, ma l’incontenibile fretta di godere la vita.
Sentite ciò che abbiamo passato e credete in noi.
«[…]Su alcuni elementi quali il linguaggio, la gestualità, l’espressività ho lavorato evitando la vana pretesa di restituire su un palcoscenico la semplicistica imitazione di tre eroine contemporanee. Non nascondo (chi è del mestiere lo sa) che proporre un lavoro di forte impatto emotivo avrebbe coinciso con il percorrere una strada meno dissestata o quantomeno immediata… vincente a priori. Tuttavia a me e a Gabriele Sisci che, oltre a comporre le musiche, mi ha diretta realizzando un’opera a quattro mani, la seducente ipotesi si è squadernata subito come un vuoto esercizio accademico da cassare. Io non parlo le loro lingue, non conosco le loro musicalità, le loro ninne nanne, i loro paesaggi, i profumi e gli odori delle loro terre: ignoro i loro animi ed i veri pensieri infatti mi sono concessa di intuirli in punta di piedi con timore reverenziale.
Mi sono detta che non dovevo raccontare nuovamente la loro via crucis, ma percorrerla io stessa in
tre modi diversi secondo il mio linguaggio, il mio corpo, la mia modalità di muovermi in scena, la mia voce, il mio sentire, essendo d’altronde me stessa l’unico “personaggio” teatrale che conosco meglio di qualsiasi altro.
Desidero presentare i tre lavori secondo la mia resa del sinistro ed enigmatico rapporto che intercorre tra langue e parole: concedendomi un’indagine quasi da entomologo e quindi anche secondo uno sguardo di genere, ho recuperato l’universalità delle storie facendo emergere l’eroismo moderno di cui si ammantano S.,Y. e A.,non lontano da altre parenti teatrali più classiche soprattutto della tragedia greca e figure spesso maledette, autoritarie, forti, ribelli e vincenti del secolo breve.
Essenza e non perfetta somiglianza, una sorta di motto-guida nella scrittura drammaturgica e nell’interpretazione, questo il mio vero interesse: non una copia delle tre donne protagoniste, semmai una copia “originale”, come originali sono e saranno sempre i riassunti pluriprospettici della scena di strada di brechtiana memoria.
Mi sono detta che per essere S.,Y. e A., dovevo essere ancor di più me stessa ossia una donna diversa dalle sue omologhe che hanno vissuto però una storia uguale, universale giacché innanzitutto umana, uno spettacolo di dolore, da pochi soldi dove le gesta sono davvero eroiche.
Le mie S.,Y. e A., sono dotate di straordinaria fantasia, camminano instancabilmente e coraggiosamente lungo un sentiero di amore, rivoluzione e politica nel senso pasoliniano del termine e, forti del loro sapersi personaggi inusuali, non vivono alla luce degli uomini, ma nella modestia, ostentano indistruttibile talento e come ogni grande donna sono piene di grazia. Mariangela Imbrenda »
Gli spettatori hanno il privilegio e il dovere di incontrare ovvero vedere e ascoltare tre donne che rivivono in prima persona uno sconfinato, folle amore per la vita e la fuga quasi invasata, perché disperata, verso un’intima idea di libertà: il titolo della pièce è la conferma del loro approdo nella “Terra degli uomini liberi”.