«Carico di numerosi riconoscimenti e trasposto in un trailer decisamente “allettante e pericoloso”, “Revanche”, nella sua visione completa, si autoridimensiona».
Carico di numerosi riconoscimenti (dalla candidatura all’Oscar quale miglior film straniero, ai premi Fipresci e Berlinale e ad altre “glorie”) e trasposto in un trailer decisamente “allettante e pericoloso” quanto a promesse e facili cadute nella banalità del nichilismo-sregolatezza, Revanche, nella sua visione completa, si autoridimensiona. Una bella promessa, il silenzio e la calma sospesa ed inquieta di uno specchio d’acqua, amplificati ed allargati dal lancio di un sasso, quale ingresso nel tempo e nello spazio delle due realtà opposte in cui veniamo immersi.
Distante da Vienna si consuma la vita di una coppia apparentemente pacificata dentro la calma tragica e la bellezza della natura che la circonda. Robert e Susanne: lui poliziotto insicuro e fragile, lei serena e in attesa di qualcosa. A Vienna, nel quartiere a luci rosse, Tamara, giovane prostituta ucraina ed Alex, tuttofare del “pappa” che gestisce il locale dove lavora, si amano di nascosto. Alex vorrebbe cambiare vita e scappare con lei per ricominciare. Tamara appare più disincantata e realista: l’unica via è già tracciata e non è possibile mutarla. Il boss accelera i tempi della scelta, proponendo alla giovane (uno dei pezzi forti del suo locale) di spostarsi in un appartamento dove ricevere i clienti più facoltosi, prospettandole una carriera tutta in salita. La giovane rifiuta, ma la proposta nasconde un vero e proprio dictat. Alex capisce che è il momento di agire: scappa con Tamara e prepara, pistola scarica alla mano, un colpo ad una banca di un paesino tranquillo. Il gioco da ragazzi che la rapina in apparenza pare essere priverà Alex della persona più importante della sua vita. E il caso coinvolgerà nell’incidente proprio Robert. Da quel momento, le esistenze dei tre “superstiti” verranno condizionate in maniera definitiva ed irreversibile, incrociandosi e scambiandosi l’un l’altro le reciproche inquietudini ed insoddisfazioni. Robert, schiacciato dall’alibi del senso di colpa, affonda in una autocommiserazione delle proprie debolezze e del proprio non riuscire nella vita. Susanne prende atto dell’incompletezza del suo essere donna e della mancanza di cui soffre. Alex, animato da un indomabile desiderio di vendetta (che butta fuori spaccando legna per giorni interi ed isolandosi in una chiusura emozionale), deve fare i conti con la sua indole di duro apparente, con la propria incapacità di essere cinico fino in fondo.
Assistito da un minimalismo (di marca decisamente austriaca) sia narrativo che tecnico, il film, pur partendo da un canovaccio interessante, non decolla. La camera non si sporca (e noi insieme a lei), resta troppo distaccata dal mondo che osserva e i personaggi appaiono sovrimpressi, poco autentici. Alcuni più riusciti (decisamente la componente femminile delle coppie): Tamara e Susanne, maggiormente rilassate e pacificate nella propria condizione, sono le più decise a confrontarsi con se stesse e a mettersi in gioco fino in fondo. La prima, dividendo sino alle estreme conseguenze con Alex il cambiamento da lui prospettato, Susanne (la più interessante) “reinterpretando” il suo ruolo di moglie e di credente. Anche il caso, elemento decisivo della vicenda, viene impiegato dal regista Götz Spielmman in maniera poco originale, dentro uno schema già visto, da cui non riesce ad uscire. Idem per il finale: un “chiudere il cerchio” (perché? Per quale ragione?) apparentemente aperto, ma in realtà assolutamente strutturato.
Maria Cera
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