Per Andrea Papini è il primo lungometraggio, nonostante la sua attività registica inizi a metà degli anni ottanta realizzando documentari, corti e spot pubblicitari. Il regista mette in scena la quotidianità di tre individui che, per uno scherzo del destino, si conoscono e si troveranno ad essere disarmati l’uno di fronte al carisma dell’altro. Dà l’avvio a questo triplice incontro Mario, un ladro di macchine che “lavora” in autostrada. Il ragazzo punta una macchina e parla al palmare con Beatrice, una telefonista che si invaghisce della sua voce, per risalire al numero di telefono del proprietario; quest’ultimo si scopre essere un uomo ambiguo, con un passato fatto di sperimentazioni mediche e un presente oscuro.
Nulla è come sembra in questo noir fatto di ombre e di luci, scandito per buona parte dall’altalenanza di tunnel e spazi aperti, fin dai titoli di testa si capisce subito che le due macchine sono protagoniste, scelte con cura per essere armoniosamente in contrasto. La prima rosso fuoco, come la carica adrenalinica che spinge Mario a fare questo mestiere, piccola come una zanzara rispetto alla seconda, nera, di lusso ma vecchiotta, funerea come il suo proprietario dall’aria inquietante e una voce dolce e ipnotica, che riesce a neutralizzare la volontà del ladruncolo. Ci si trova presto di fronte a persone che sono vittima e carnefice di se stessi e dell’altro.
“Un personaggio splendidamente misterioso, è un morto vivo, vittima e predatore, è un uomo” ha detto Patrick Bauchau del suo personaggio. Un altro elemento incisivo è l’incorporeità della comunicazione, tema molto attuale, il telefono rimane per buona parte del film il mezzo attraverso il quale i tre personaggi interloquiscono, tutti seduti, chi in un ufficio e chi in macchina, tutti in cerca di qualcosa o di qualcuno, tutti soli.
Francesca Capone