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Miss Violence, il doppio sguardo

Nymphomaniac – Volume 1 e 2 di Lars Von Trier

Contrariamente a chi vede in Lars von Trier un rappresentante della misoginia, “Nimphomaniac” si rivela, anche alla ottusità più ostinata, un’esplicita e didascalica condanna alle maschere stereotipate di donne e soprattutto di uomini affetti da analfabetismo ideologico chiamato natura

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Due minuti di nero, silenzio, acqua, luoghi angusti. Al ritmo della musica dei Rammstein con Fuhre Mich si apre la scena. Seligman trova Joe sul pavimento, evidentemente svenuta dopo essere stata picchiata selvaggiamente.

La accoglie in casa e lei inizia a raccontarsi: è una ninfomane e dichiara di  essere un pessimo essere umano.

(NINFOMANIA: termine arcaico che designa l’ipererotismo nella donna. Ciò che la rende particolarmente desiderabile sembra essere il ruolo attivo che ella svolge nel rapporto sessuale. Di fronte alla sua intraprendente bramosia, l’uomo si colloca nel ruolo passivo. Si invertono i ruoli psicologici, restando gli scambi corporei sostanzialmente immutati. Non conoscendo catarsi, il desiderio ninfomanico si ripropone perpetuamente nella forma della coazione a ripetere, in un reiterata ricerca dell’oggetto che oltrepassa i confini del bisogno e della domanda).

Diviso in capitoli come in Dogville inizia una erudita disquisizione matematico-metaforica, fatta di numeri e combinazioni , di definizioni e citazioni, di digressioni intellettuali più o meno deboli.

Il tutto accompagnato da immagini insolenti e trasgressive al motto del “mea culpa mea culpa mea maxima vulva”

L’amore è la lussuria unita alla gelosia e il potere è scandito dalla differenza di genere…

Gli uomini vengono elencati con lettere iniziali e scelti ai dadi, per renderli eccitati dalla imprevedibilità, mentre la signora H porta i figli a visitare il letto nel quale il marito/padre la tradisce con una ragazzina.

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La ninfomane vive la combinazione polifonica dei corpi e l’Ich Ruf Zu Dir, Herr Jesu Christ di J.S. Bach suona la marcia funebre al sentimento d’amore, mentre si aspetta il permesso di morire.

Joe parte da quando aveva 12 anni e tra il paradosso di Zenone e la tartaruga/orgasmo le interpretazioni metaforico/psicoanaliche di Seligman sembrano non convincerla.

Come aveva fatto  Jan  ne Le Onde del Destino anche qui Jerome le chiede di andare con altri uomini. Lì aveva agito la devozione di Bess per la chiesa occidentale della sofferenza, qui  Joe pur lontana dalla chiesa orientale della gioia ha il compito ossessivo di RIABILITARE la sessualità.

D’altronde anche Cristo ha vissuto una esperienza sadica e cinica e il fine di Joe giustifica qualunque mezzo.

Seligman le ricorda che Freud parlava della perversione polimorfa del bambino, mentre il figlio di Joe si avvicina alla finestra riportandoci indietro alle drammatiche immagini  dell’Antichrist, accompagnate dal Lascia che io pianga di Georg Friedrich Handel.

Il sentimentalismo è una menzogna e la terapia un inutile rimedio per chi non ha un posto nella società a meno che non diventi una consulente in riscossione crediti esperta dell’ampia conoscenza maschile.

Il successo prodotto dalla professione determinerà anche l’esigenza di trovare un erede, e se uccidere è la cosa più naturale la pistola può tradirti.

L’unico peccato era quello di aver chiesto troppo al tramonto, soprattutto in quanto donna… Se fosse stata un uomo sarebbe stato tutto diverso.

Vivere la colpa e il risentimento contro se stessi e contro il genere oppresso scatena la resistenza del subconsio, e sebbene ora la dipendenza diventa più chiara c’è da chiedersi se sia una vita degna di essere vissuta.

La castità di Seligman le ha schopeuerianamente consentito di capire.

La ninfomane è la schiava che rivendica inconsciamente la libertà di essere donna.

Da Medea a Le Onde del destino il sadismo/masochismo porterà  la morte.

Il filosofo di Dogville si trasforma nello psicanalista di Antichrist per diventare  l’intellettuale di Nimphomaniac.

Una summa autocitazionista quella di Lars von Trier; il compimento della trilogia mascherata dalla depressione del sublime racconto di  una misoginia atavica maschile e autolesionista femminile.

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Non v’è liberazione sessuale senza conquista culturale. L’apparente ipererotizzazione nasconde e schiavizza il femminile rendendolo inconsapevolmente giustizialista ma concretamente il risultato della oppressione.

L’ipocrisia di una liberazione falsa e menzognera mascherata di intellettualismo giustificazionista e colto; un monologo quello maschile autoreferente e sadico sebbene ingenuamente esplicativo e concretamente autistico.

In molti altri modi, apparentemente dispersivi e frammentati von Trier racconta sempre la stessa storia, quella della donna circoscritta nel tentativo folle e patologico di colonizzare un territorio che non ha confini: il suo corpo.

“La donna al pari dell’uomo è il proprio corpo ma il suo corpo è cosa diversa rispetto a  lei” aveva detto Simone De Beauvoir.

Contrariamente a chi vede in Lars von Trier un rappresentante della misoginia, Nimphomaniac si rivela, anche alla ottusità più ostinata, un’esplicita e didascalica condanna alle maschere stereotipate di donne e soprattutto di uomini affetti da analfabetismo ideologico chiamato natura. La mutilazione sociale prodotta, tollerata e inquadrata in un sistema che deforma l’espressione e umilia la liberazione attraverso la sua fabbricazione artificiale.

Una lezione quella di Lars dalla quale è impossibile sottrarsi, ma la malafede è sempre in agguato e quindi le conseguenze sono imprevedibili.

CORROSIVO, LOGORANTE, UNICO.

Beatrice Bianchini

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