In Sala

National Gallery

Non ci aspettiamo più gli sperimentalismi formali del Kinoglaz di Dziga Vertov (1896 – 1954), ma quello che ci presenta Wiseman è, almeno per noi, francamente troppo poco. Sappiamo bene che tanti cinéphile inorridiranno, leggendoci, ma, come insegnò il caro Eraclito: un vero ricercatore non deve aver paura

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Dopo Pompei (2013), prodotto dal British Museum, ci auguravamo di aver raggiunto il livello più basso nella nuova mania di protagonismo che imperversa trai i musei della Gran Bretagna; purtroppo spesso al peggio non vi è fine. Tre insopportabili ore di un non-documentario, con vari colleghi che lasciano in anticipo la sala di proiezione durante l’anteprima stampa: è un film che, in tutta onestà, ragion d’essere proprio non ha. Conosciamo benissimo l’Inghilterra e la sua cultura, ci occupiamo di cinema, ma anche di museologia; bene, la pellicola del cineasta americano è riuscita a irritarci per quanto riguarda tutti e tre gli argomenti. Raramente nel nostro percorso di studio e ricerca all’interno del variegato e, talvolta, artificiale mondo della Settima Arte abbiamo percepito quasi un malessere fisico durante la visione di un’opera, come è accaduto nel caso di National Gallery.

Al lettore non sarà sicuramente sfuggito il fatto che non abbiamo incluso una sinossi. Non siamo stati colpiti da un improvviso attacco di accidia, solo che non vi è proprio traccia di un filo conduttore nella narrazione della pellicola, nemmeno si può dire che in essa si parli della prestigiosa pinacoteca londinese, giacché nulla o quasi si dice sulla collezione permanente della National Gallery, di come si è formata, quali sono le sue caratteristiche principali, nonché le sue vicende storiche. L’unica nota d’interesse è stata quella di vedere gli inglesi gesticolare come mai visto prima; sempre di più ci accorgiamo che il mondo ormai è al contrario!

Nel documentario si mostrano essenzialmente i curatori e non le tele. Costoro blaterano per minuti, con l’Arte che viene messa in secondo piano. Il tutto all’insegna della ben nota ossessione delle istituzioni culturali britanniche per le attività collegate alla cosiddetta museum education, per dirla con quelli che “parlano bene”. Wiseman piazza la macchina da presa e lascia che il protagonista di turno sfoghi il proprio ego; talmente è assente l’aspetto filmico, che ci viene da pensare che l’autore statunitense sia andato a prendersi un caffè o a fumarsi una sigaretta durante le riprese. Non ci aspettiamo più gli sperimentalismi formali del Kinoglaz di Dziga Vertov (1896 – 1954), ma quello che ci presenta Wiseman è, almeno per noi, francamente troppo poco. Sappiamo bene che tanti cinéphile inorridiranno, leggendoci, ma, come insegnò il caro Eraclito: un vero ricercatore non deve aver paura.

Un’altra cosa poi assolutamente intollerabile, specifica di una certa tipologia di americano proveniente da determinati ceti sociali, è la costante sottovalutazione della cultura italiana. Sarebbe a dire, che Wiseman, in una intervista rilasciata ad aprile 2014, si è così espresso: “Inoltre, paragonata a musei dello stesso calibro, la National Gallery è più raccolta e intima rispetto al Louvre di Parigi, al Metropolitan di New York o al Prado di Madrid.”. E gli Uffizi? Il MET ora ha una collezione di quadri superiore a quella di Firenze? Non scherziamo per favore. Solo una persona poco erudita e/o intossicata dai soliti e arcinoti pregiudizi culturali può far finta di non sapere che la più importante pinacoteca esistente al mondo è quella voluta secoli fa dai Medici. Del resto, siamo abituati che la cultura, quella di oggi, sia fatta spesso di gente sì titolata, ma dalla testa vuota; personaggi privi di idee, capaci esclusivamente di una concettosità fine se stessa. Quello che esce fuori da National Gallery è perciò solo un compendio di egotismo, in primis quello del suo regista.

Dunque, senza timore ci sentiamo di affermare che si tratta di un film totalmente inutile, nemmeno buono, come nel caso del sopracitato Pompei, come spot per il museo di cui parla. I colti, quelli che amano parlare complicato e che reputano che un film per essere buono debba prendere la forma di una noia vicina alla tortura, apprezzeranno la pellicola di Wiseman, al quale è stato dato il Leone d’Oro alla Carriera durante l’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Senza alcun intento provocatorio riteniamo che i popolari e sempliciotti documentari condotti da Alberto Angela in TV siano decisamente migliori, per qualità e, specialmente, per contenuti, di quello di un sedicente intellettuale che ignora persino quali siano e dove si trovino le più importanti raccolte d’arte al mondo (in Italia, ovviamente), ma che ha la presunzione di tenerti seduto per tre ore – per giunta senza darti uno straccio di trama – e parlarti di musei.

Riccardo Rosati

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