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Alice in wonderland

“Il visionario Tim Burton ha riportato nel paese delle meraviglie di celluloide la Alice letteraria nata nel 1865 dalla fantasia di Lewis Carroll, già protagonista di diverse trasposizioni cinematografiche…”

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Alla fine, con Anne Hathaway (Il diavolo veste Prada) nei panni della Regina bianca, Helena Bonham Carter (Camera con vista) in quelli della tirannica Iracondia, Regina rossa, e Matt Lucas (L’alba dei morti dementi) nel duplice ruolo dei gemelli Pinco Panco e Panco Pinco, il visionario Tim Burton ha riportato nel paese delle meraviglie di celluloide (e questa volta in 3-D) la Alice letteraria nata nel 1865 dalla fantasia di Lewis Carroll, già protagonista di diverse trasposizioni cinematografiche, la più famosa delle quali rimane a tutt’oggi quella disneyana del 1951.

Con le fattezze dell’australiana Mia Wasikowska (Amelia), è una Alice non più bambina e prossima al matrimonio questa di Alice in wonderland, la quale, per trovare il suo vero destino, s’imbarca nell’incredibile viaggio che la porta ad incontrare, tra gli altri, il caloroso Bianconiglio, l’elegante Stregatto, il topolino Mally e il Brucaliffo, dal muso simile a quello dell’extraterrestre E.T.

Ed è proprio questa varietà di animalesche creature parlanti a garantire la buona dose d’ironia presente nell’operazione, immersa in un’impeccabile confezione tecnico-artistica che, complici la bella fotografia di Dariusz Wolski (La maledizione della prima luna) e l’ottimo trucco, fornisce un’estetica generale più vicina ai variopinti universi allucinati di Terry Gilliam che alle cupe atmosfere dell’autore de Il mistero di Sleepy Hollow.

Infatti, al di là di Ilosovic Stayne, Fante di Cuori interpretato dal mai disprezzabile Crispin Glover (Ritorno al futuro), il cui look non fatica a ricordare quello di Edward mani di forbice, per scovare un minimo d’impronta burtoniana bisogna prestare molta attenzione ai cieli spesso poco sereni e a un certo animo drammatico-dark che si nasconde dietro le apparentemente allegre immagini; sarebbe sufficiente citare il simpatico ma inquietante ghigno del Cappellaio Matto incarnato da Johnny Depp (Nemico pubblico), caratterizzato – come buona parte dei volti presenti nel film – da lineamenti che non lo avrebbero certo fatto sfigurare all’interno di un’opera appartenente all’Espressionismo tedesco.

Però, con una visione tridimensionale sfruttata raramente bene e senza rinunciare ad uno scontro con il draghiforme Ciciarampa, l’impressione è quella di trovarsi dinanzi ad un prodotto leggermente al di sopra della media che, incapace di permettere allo spettatore di affezionarsi ai vari personaggi, porta la firma di un emulo del regista de La sposa cadavere.

Regista la cui carriera, passata da autentici capolavori (il già citato Edward mani di forbice) a prove semplicemente apprezzabili (Sweeney Todd-Il diabolico barbiere di Fleet street), comincia a spingerci non poco a dare ironicamente credito ad una delle frasi pronunciate nel corso della vicenda: “Tutti i migliori sono matti”.

Francesco Lomuscio

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