Il mucchio selvaggio è uno dei più grandi western di tutti i tempi, capolavoro di Sam Peckinpah.
Pike (William Holden) è il capo di una banda di fuorilegge ricercata in tutto il West. Dopo una rapina in banca sfociata in una carneficina che ha visto coinvolti molti cittadini innocenti, della banda sono rimasti solo in sei: oltre a Pike, Dutch (Ernest Borgnine), il messicano Angel (Jaime Sanchez), i fratelli Gorch, Lyle (Warren Oates) e Tector (Ben Johnson) e il vecchio Sykes (Edmond O’Brien), che si occupa esclusivamente di tenere a bada i cavalli. A dargli la caccia sono in tanti, soprattutto un manipolo di furfanti assoldati dalla compagnia delle ferrovie capeggiati da Thorton (Robert Ryan), un vecchio amico di Pike costretto a passare col “nemico” per evitare di rimanere in galera. Sempre in fuga e sempre in cerca di nuovi colpi da mettere a segno, la banda arriva in Messico, fino ad Aguaverde, il villaggio di Angel, tra gente povera assetata di riscatto e in mezzo ai fuochi dei ribelli in rivolta. Qui conoscono il Mapache (Emilio Fernandez), un esaltato che si è fatto nominare “generalissimo” e che si è messo alla testa dell’esercito regolare per combattare i rivoluzionari capeggiati da Pancho Villa. Il Mapache assolda la banda perché vuole che rubino all’esercito americano le armi necessarie per vincere la loro guerra. Pike e i suoi accettano di buon grado, ma in quel mondo i tragici imprevisti sono come l’ombra che non si estingue mai.
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Sam Peckinpah restituisce la sua personale visione del genere western e lo fa alla fine degli anni ’60, quando il western aveva principalmente due nomi: John Ford e Howard Hawks, i quali con le loro opere fissarono i canoni sanciti dal film-manifesto “Ombre Rosse” del 1939. Una storia fatta di eroi a cavallo per la prateria, uomini senza macchia che difendevano i deboli, dove le morti erano tante ma il realismo non era comtemplato, perché il sangue non si vedeva mai. Il mucchio selvaggio, negli stessi anni delll’ascesa degli spaghetti-western di Leone (1969) arriva prepotente a distruggere tutti questi canoni. Non c’è più spazio per gli eroi (gli stessi protagonisti del film sono pistoleri ormai sul viale del tramonto) e a trionfare è solo la morte. La violenza insita in ogni uomo, che per Peckinpah non è altro che un potenziale assassino, viene presentata in maniera realistica, cruda ed eccessiva, uno stile che influenzerà tanti cineasti moderni come Scorsese, Tarantino e John Woo. Fiumi di sangue scorrono quindi nei celebre e insuperato massacro finale scandito dal montaggio frenetico sulle note della “Golondrina”.
Il film è tecnicamente perfetto: conta il maggior numero di inquadrature fino ad allora utilizzate in una pellicola, fa un uso ripetuto del rallenty che diventerà segno distintivo del regista, attori straordinari e fotografia magistrale di Lucien Ballard. Accolto in malo modo dalla critica del tempo (ottenne solo due candidature agli Oscar) è oggi considerato tra i dieci più grandi western di tutti i tempi e uno dei pilastri della storia del cinema, un capolavoro assolutamente da non perdere!