Cesare deve morire, un documentario dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 2012. Girato all’interno del carcere di Rebibbia, il film mostra i detenuti in regime di massima sicurezza durante un laboratorio diretto dal regista teatrale Fabio Cavalli, alle prese con le prove e l’allestimento del Giulio Cesare di Shakespeare. Le vite degli attori/carcerati si intrecciano quindi con quelle dei personaggi interpretati, toccando temi come la mancanza di libertà, il tradimento, la colpa e il rimorso. I detenuti si identificano con i personaggi che vanno a rappresentare, anche perché ciascuno di loro recita nel proprio dialetto, mettendo in scena un’emozionante versione della famosa tragedia shakespeariana.
Tra loro, che danno tutti grandi interpretazioni, troviamo Salvatore Striano (che ha fatto il suo debutto come attore nel 2008 in Gomorra di Matteo Garrone), rilasciato nel 2006 grazie all’indulto e tornato a Rebibbia appositamente per interpretare Bruto. Ma la vera sorpresa è Giovanni Arcuri, alla sua prima prova di attore nei panni di Cesare, che per presenza scenica ed espressività fa guadagnare tantissimo a tutta la rappresentazione.
Grande merito del film è soprattutto quello di mostrare una realtà tabù, rimossa dalla nostra società, quella del carcere e soprattutto di coloro che stanno scontando la pena dell’ergastolo e mostrarci la loro umanità e sofferenza, al di là di quello che abbiano commesso. Ci si emoziona molto, perché si sente chiaramente che i detenuti hanno vissuto quest’esperienza in modo totale e liberatorio e si ha l’impressione che almeno per alcuni mesi siano stati “liberi” o così si siano sentiti. I corridoi, le celle, tutti gli spazi di Rebibbia da luoghi sporchi e arrugginiti si sono trasformati in una Roma antica e nel set di un film e l’arte ha ridato dignità e voglia di vivere, facendo viaggiare loro e noi fuori da quelle mura. Alla fine con amarezza si torna alla realtà. Cesare deve morire e deve finire lo spettacolo, e gli attori tornano solamente carcerati. Non c’è una vera evasione, se non attraverso l’arte.
E Cassio ci lascia con questa amara riflessione:
“Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione.”
Un film triste, importante e necessario, giustamente premiato a Berlino, che spero stasera guardino tutti.
Ecco il trailer:
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