In Sala

Il settimo figlio

Di “Il Settimo Figlio” si salvano solo le scenografie di Dante ferretti, i costumi e la musica di Marco Beltrami, ed è un peccato perché attraverso i libri di Delaney si poteva davvero regalare agli spettatori qualcosa di più di un ibrido che poco punta sulle potenzialità della sua storia

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Dal libro al film è un passaggio ormai quasi doveroso, addirittura meramente formale, soprattutto se alla base vi è una saga del calibro di Wardstone Chronicles di Joseph Delaney. È infatti basato su L’apprendista del mago, il primo dei 13 atti del dark fantasy scritto dall’autore inglese, Il settimo figlio. Ma un budget di 95 milioni di dollari, speso con furbizia anche per il cast stellare che comprende il Premio Oscar Jeff Bridges, il futuro (?) Premio Oscar Julianne Moore, l’ex Principe Caspian Ben Barnes, il divo di Game of Thrones Kit Harington e il Korath de I Guardiani della Galassia Djimon Hounsou, non è detto che faccia la fortuna di un lungometraggio. Gli attori “patinati” chiamati a  richiamare il pubblico di ogni genere e le scenografie firmate da Dante Ferretti (anche lui, manco a dirlo, Premio Oscar) non possono fare il miracolo di innalzare a livelli dignitosi la qualità di un prodotto scadente.

In un mondo incantato la Madre Regina di tutte le streghe torna in libertà dopo 10 anni di prigionia forzata, e perché la cattiva di turno venga sconfitta l’anziano Master John Gregory si mette alla ricerca di un possibile apprendista che possa, come lui ha fatto per tutta la sua vita, sconfiggere “il male”. La scelta dello stregone cade su Thomas Ward, le cui braccia sono strappate dall’anziano stregone all’agricoltura, per intraprendere un viaggio fantastico e pericoloso dove il ragazzo dovrà affrontare grandi pericoli.

Il percorso fisico e metaforico dell’eroe che scopre se stesso e i suoi poteri lungo un cammino costellato di trappole è uno degli elementi fondamentali di ogni fantasy che si rispetti, peccato però che il cineasta Sergeij Brodov non riesca a regalare la giusta epicità all’avventura del giovane Thom, rovinando la resa del lungometraggio (già messa non poco a repentaglio dall’interpretazione di Barnes e anche da quella di Bridges che è tanto eccessiva da risultare parodistica) con una storia d’amore che in tutto e per tutto ricalca il plot, sempreverde ma in questo caso fuori luogo, di Romeo e Giulietta. Il film, già di per sé banale e corredato da effetti speciali che non fanno invidia nemmeno a prodotti di fantasia come la nostrana Fantaghirò, non riesce a farsi forte neanche delle grandi presenze attoriali. La stessa Julianne Moore consegna al pubblico una delle streghe più stereotipate e “vecchie” degli ultimi anni, sintomo di una gestione mediocre nella direzione di un lungometraggio che non cura affatto l’introspezione dei suoi personaggi.

Di Il Settimo Figlio si salvano solo le scenografie, i costumi e la musica di Marco Beltrami ed è un peccato perché attraverso i libri di Delaney si poteva davvero regalare agli spettatori qualcosa di più di un ibrido che poco punta sulle potenzialità della sua storia ma cerca, in malo modo, di “rubare” elementi (oltre che attori) alle altre saghe fantasy per ri-arrangiare tutto al limite del ridicolo. Il risultato è un lavoro poco spettacolare, per un genere che si nutre della meraviglia degli appassionati, e assolutamente non all’altezza né della saga da cui prende spunto, né del budget che è stato speso per l’opera né, tantomeno, dei gusti sofisticati degli amanti di un certo tipo di cinema.

Sandra Martone

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