39 piani sequenza con immagini statiche, dettagliate e inquiete raccontano piccole grandi storie quotidiane sobriamente iperboliche.
Dalla trilogia “essere un essere umano” ai tre esilaranti incontri con la morte:
– un uomo muore per aprire una bottiglia mentre la moglie canticchia
– una anziana signora su letto di ospedale non molla la borsa con soldi e gioielli;
– un tale muore ad una mensa con il pranzo pronto e pagato che si cerca di non sprecare…
In questa galleria d’arte di personaggi ipnotici due testimoni della vita cittadina, rappresentanti di commercio vendono oggetti per il divertimento:
denti da vampiro medi e lunghi, il sacchetto che ride e mette di buon umore e la maschera da zio con dente solitario.
La taverna di Lotte la Zoppa che si fa pagare in baci da chi non ha soldi; un Re Carlo XII piuttosto bizzarro, l’insegnante di flamenco che ci prova con un ballerino mentre quasi tutti parlano al telefono e rispondono sempre con la stessa frase: “Mi fa piacere sentire che le cose vi vanno bene”…
Ma cosa va bene?
In un mondo incipriato di bianco defunto dove i colori più accesi sono il beige, il verdino/ giallino; in un mondo dove c’è la crisi… gli uccelli sono impagliati, le scimmie cavie e gli uomini trattati come schiavi… Solo lo sguardo beffardo del piccione sul ramo riflette sull’esistenza di esseri già inconsapevolmente morti e indifferenti alla loro condizione. E’ una realtà spettrale rappresentata sotto una dubbia luce naturale, senza sorprese né soprassalti. Sembra una tregua provvisoria della vita tollerata nel suo pallore insignificante.
Autentici o inautentici sono questi esseri? C’è un vero e un falso assurdo: da quest’ultimo si può evadere con il pensiero autentico ma da quello vero?
Solo nella tensione tra uomo, mondo e assurdità si può divenire testimoni autentici dell’assurdo, vivendolo tormentosamente in sé senza alcuna dialettica della speranza.
L’umorismo si mescola al tragico in questa opera sublime di arte allo stato puro, che cerca di rappresentare la sintesi mai conclusa di un’esistenza banale e virtuale che si dirige in tutte le direzioni senza andare da nessuna parte.
La poetica dell’assurdo, preso in una morsa, chiarito, definito, meno sfidato che tollerato; la testimonianza del paradosso, il trionfo comico della sconfitta.
Conclusione? Guai a prendere l’abitudine di vivere prima di acquistare quella di pensare: si può trovare nella schiavitù la vera unica libertà?
Nella culla dell’assurdo si sta sospesi tra terra e cielo come degli infanti dominatori che vibrano tra l’indignazione e l’indifferenza.
UN OPERA PERFETTA per una mostra d’arte cinematografica.
Beatrice Bianchini