Marcello Macchia ci ha provato. Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, ha detto la sua. E ha fatto bene, perché ci è riuscito. Italiano medio è la storia di Giulio Verme (Maccio), un attivista impegnato prima di tutto sul fronte ambientalista, ma il cui atteggiamento integralista tende a smontare qualsiasi bassezza della società odierna, con cui è costretto a fare i conti nella quotidianità. Atteggiamento scaturito in controtendenza alla sua educazione, di cui si sono fatti carico due genitori imbalsamati, totalmente succubi della tv generalista. Le profonde idee di Verme, però, si traducono in un nulla di fatto, che ne fanno un semplice rompipalle persino agli occhi della sua compagna Franca (Lavinia Longhi), una che comunque di sale in zucca ne ha, ma che è colpevole di mangiare le mozzarelle nell’insalata, rendendosi complice dello svuotamento di quelle povere mucche che non sono fatte per essere svuotate. Verme reagirà ingerendo una pillola, offertagli dal suo amico Alfonzo (Herbert Ballerina), che ridurrà l’uso consapevole del suo cervello dal 20 al 2%. Una tragedia.
La realizzazione di questo film rappresentava un campo minato. Le insidie erano molte, a cominciare proprio dalla formula del lungometraggio: la forza di Maccio Capatonda è sempre stata incarnata dalla brevità delle sue pillole, dalle freddure delle sue intuizioni, efficaci proprio perché a bruciapelo, immediate e piacevolmente irrisolte. Maccio Capatonda ha rivoluzionato il concetto di comicità demenziale e le ha restituito profonda dignità. Anzi, per essere più precisi: Maccio Capatonda ha riportato la comicità demenziale alle sue effettive radici, evolvendola nella giusta direzione. Ed è sacrosanto precisarlo fino alla nausea, in un momento storico in cui per demenziale si intendono gli idioti dei Soliti idioti. Idioti. Francesco Mandelli e quell’altro hanno fatto un film, quindi è giusto che Maccio Capatonda e la sua banda facciano altrettanto (e si spera anche di più) per rimettere i puntini sulle i. Proprio il regista, in conferenza stampa, ha affermato come i suoi punti di riferimento siano certe commedie demenziali americane, estremizzate e contestualizzate nella nostra imbarazzante realtà italiota. Perché non è un’eresia collocare Maccio fra Mel Brooks e Lino Banfi, passando proprio per un suo (ormai) assiduo collaboratore come l’immenso Nino Frassica. Riferimenti altissimi e mai dissacrati, neanche per un istante. Mai la volgarità fu così funzionale come nel caso della produzione di Capatonda & Co.
Anche in Italiano medio, le battute sono riuscitissime e la trama c’è, ben costruita, e non intacca minimamente la carica surreale di questo tipo di comicità, fatta soprattutto di episodi isolati e anche un po’ “a caso”. Ma si tratta pur sempre di un’opera prima, e una pecca c’è, e va individuata proprio nella formula del lungometraggio, croce e delizia di questo esordio. Ci si riferisce al fatto che se i momenti riusciti divertono all’ennesima potenza, è anche vero che quelli più deboli stancano all’ennesima potenza. Tutto è amplificato, nel bene e nel male, come era lecito aspettarsi. Dispiace dirlo, ma è anche normale. È un’opera prima, non va dimenticato, e, in fondo, si tratta solo di trovare la giusta quadra. E un tuttofare come Maccio Capatonda, regista, sceneggiatore, comico, genio, simpatico e indispensabile cazzone, e soprattutto montatore, dà parecchie garanzie sul fatto che la troverà in breve tempo. Merita ogni singola briciola del successo che sta raccogliendo, perché la sua comicità è trasversale, e diverte più o meno consapevolmente. Tant’è che non sarà affatto strano sentire le grasse risate di qualche tamarro in sala al grido di Scopareeee!!!, e che magari quel tamarro non sappia che ci si sta riferendo proprio a lui.
Riccardo Cammalleri
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