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Trieste Film Festival: Naked Island di Tiha K. Gudac

Naked Island, uno dei migliori documentari proposti quest’anno dal Trieste Film Festival, riporta la memoria agli orrori del famigerato campo per detenuti politici di Goli Otok.

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Tiha è un nome davvero insolito, in Croazia. Di per sé vuol dire “silenziosa”. Sembrerebbe quasi sia stato scelto per riflettere quel lungo silenzio, che tutta la famiglia si è sentita costretta per decenni a rispettare, riguardo alla cruda e allucinante esperienza vissuta da un proprio componente nella Yugoslavia del Maresciallo Tito. I fatti risalgono ai primi anni ’50: in un clima di forti tensioni politiche il nonno di Tiha K. Gudac, caduto vittima di quella “caccia alle streghe” che nella ricerca di potenziali nemici interni e sabotatori del sistema socialista colpì un gran numero di innocenti, anche in virtù delle più volgari delazioni, fu tra coloro che vennero inviati a Goli Otok. Ovvero la famigerata Isola Calva, brullo e inospitale isolotto dell’Adriatico in cui era stato allestito un campo di prigionia, dove la disciplina e le condizioni di vita erano al limite della resistenza umana. Non tutti riuscirono a tornare da quel luogo infame, ma quelli che dopo qualche mese o anno venivano ricondotti a casa portavano spesso sul proprio corpo i segni dei maltrattamenti subiti. Il nonno di Tiha è scomparso alcuni anni fa, grazie a una forte personalità era riuscito a ricostruirsi una vita con la moglie e con la bambina nata in sua assenza, dopo l’arresto e la deportazione sull’isola (sebbene una figlia di poco più grande, circostanza davvero tragica, fosse morta nello stesso giorno in cui era nata l’altra, anche per il vergognoso rifiuto dei medici di curare la prole di gente ritenuta “nemica del popolo”), ma per il resto della sua vita non ha mai voluto parlare di quanto gli era accaduto, lasciando così un velo di mistero su quelle cicatrici e su altri episodi oscuri del suo passato. La giovane cineasta Tiha K. Gudac, contravvenendo così al significato del nome che le è stato dato, si è armata di videocamera e ha deciso di investigare su quei tristi episodi, rompendo così un muro di silenzio durato fino alla terza generazione.

Premiato non a caso quale Miglior Documentario a un festival qualificato come quello di Sarajevo, Naked Island (in originale Goli) è risultato anche qui tra le opere più sconvolgenti e incisive, viste nei primi giorni della kermesse triestina, da sempre così attenta al cinema documentario. A metà tra diario familiare e indagine storiografica, il film di Tiha K. Gudac fa rivivere con grande dignità e partecipazione emotiva una terrificante storia sommersa. Contribuiscono a formare il quadro diversi elementi, dallo scarno materiale di repertorio (sono più le immagini relative alle successive vacanze della famiglia stessa che quelle pubbliche, visto che c’erano argomenti di cui era meglio non parlare e che su certi personaggi cadeva ben presto la “damnatio memoriae”) alla visita di quanto rimane sull’isola dei campi di prigionia, visita compiuta dalla regista assieme alla madre. Fino ovviamente alle tante interviste di famigliari e amici del nonno, che conoscevano ognuno un frammento di quella fosca vicenda o che a loro volta l’avevano sperimentata di persona, in tutta la sua drammaticità; un po’ come quelle presenze fisse dell’infanzia di Tiha, persone ribattezzate “zii” o “zie” per la loro particolare vicinanza, dovuta al fatto che in realtà era stati anche loro detenuti politici.

Il lavoro di Tiha K. Gudac, giustamente, si concentra di più sul dato umano che su quello politico. Ed è anche onesto nel riconoscere che una tale spirale repressiva nella Jugoslavia di Tito fu in parte indotta dalle pesanti ingerenze di Stalin nella sua politica interna, da quel tentativo di destabilizzare il paese portato avanti con grande spregiudicatezza e totale assenza di scrupoli. Ma è assai importante riaffermare il peso degli errori (e degli orrori) commessi in quel periodo, specie ora che il governo croato ha ammesso di aver addirittura ipotizzato la vendita dell’Isola Calva a privati, nel recente passato. Ed è invece una memoria che va rispettata, una memoria alla quale Naked Island offre un contributo rilevante e sincero.

Stefano Coccia

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