Jublin tratteggia dei bei personaggi, forse non tutti riusciti allo stesso modo, ma nel complesso credibili, e dimostra una buona capacità registica, donando un ritmo che mantiene sempre viva l’attenzione dello spettatore
Andrea Jublin, scrive e dirige il suo primo lungometraggio, Banana, nelle sale dal 15 Gennaio
Trama Banana per salvarsi dalla mediocrità dilagante che lo circonda, adotta, nel calcio come nella vita, la cosiddetta filosofia “brasiliana” dove generosità, cuore, coraggio e fantasia convergono in un unico stile di vita.
Recensione Continuare a sperare: questo è il mantra ossessivo che ritorna durante l’arco dell’intero film. Ma la speranza, in questo caso, non comporta semplicemente il rimettersi a un destino che si spera sarà benevolo, bensì implica impegno, perseveranza, e, lo aggiunge lo scrivente, il disinteressamento.
Jublin costruisce una storia ambientata in un mondo di quasi adolescenti, in quel periodo della vita che dovrebbe essere il più radioso, proprio per andare a individuare quando e come i sogni s’infrangono, le speranze si fiaccono, lo stupore e la meraviglia lasciano il posto al disincanto.
Il piccolo Banana, un ragazzino di undici o dodici anni, è un accanito sostenitore della filosofia brasiliana, di quel modo di concepire la vita in maniera gioiosa, dinamica, fantasiosa, di contro a una rassegnazione ‘catenacciara’, che pare prendere sempre il sopravvento. Il suo amore per Jessica, una compagna di classe che cerca in tutti i modi di aiutare nel vano tentativo di aumentarne il rendimento scolastico, è di una purezza che sconcerta, commuove, convoca ad un impegno infinito, nonostante le insuperabili difficoltà.
Banana vuole essere felice, non è disposto a scendere a compromessi, cerca di andare a prendersi le cose belle della vita là dove si trovano, e se per ciò dovesse superare le prove più difficili non si tirerebbe certo indietro. Insomma, è una persona speciale, una risorsa d’energia per il fiacco ambiente che lo circonda, l’antidoto all’abbrutimento generale, al livellamento emotivo dilagante.
Jublin tratteggia dei bei personaggi, forse non tutti riusciti allo stesso modo, ma nel complesso credibili, e dimostra una buona capacità registica, donando un ritmo che mantiene sempre viva l’attenzione dello spettatore, e i toni che spesso e volentieri acquistano una dimensione favolistica trascinano piacevolmente durante l’arco degli ottanta minuti di visione.
Particolarmente riuscito è il personaggio della professoressa Colonna (anche se la sua durezza assume a tratti connotati macchiettistici), interpretato da Anna Bonaiuto, integerrima, nichilista, ma che riesce, grazie alla perseveranza di Banana, a riacquistare un filo di speranza.
L’operazione nel complesso pare dunque riuscita, il film è gradevole, ben girato, mai retorico, efficace nel tentativo di instillare nello spettatore, anch’esso disincantato, quell’anelito si speranza che fa ancora vibrare e credere che al mondo, come spesso ripete Banana, “non tutti fanno schifo”.