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Intervista a Francesco Lettieri

Francesco Lettieri è un regista napoletano. Nel 2010 realizza il suo primo videoclip per Giovanni Truppi, firmando la regia di “Respiro”

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Quanto investono le case discografiche italiane, mediamente, sui videoclip? Quanti soldi vengono spesi, se vengono spesi, per la sua produzione e diffusione? Qual è il margine di profitto, amesso che questo sia calcolabile?

1 ­ Non sempre le case discografiche indipendenti (quelle con cui ho a che fare) investono un budget per i videoclip. Dipende molto dalle dimensioni dell’etichetta e del progetto musicale. A volte sono gli stessi musicisti ad investire sul loro video. Può capitare ad esempio che il budget sia inesistente e che i musicisti chiedano ad un amico o un conoscente (magari un esordiente) di fargli un video “agratis”. Quando le etichette investono invece, si parla di cifre che partono dai mille euro fino ad un massimo di cinquemila per la produzione. Il margine di profitto invece è a discrezione del regista. Può capitare che il regista preferisca investire tutto il budget nel video e addirittura andarci a perdere, perché magari crede di avere un ritorno di immagine o al contrario può fare tutto da solo, utilizzare la propria attrezzatura e intascare il budget per intero

La diffusione delle tecnologie digitali ha fatto sì da un lato che i costi di produzione e post-produzione dei video musicali subissero una notevole riduzione, dall’altro che per dare visibilità ai prodotti non fosse più necessario avere un prodotto girato in pellicola. Questo ha effettivamente favorito, secondo te, l’emergere di videoclip innovativi? Ed ha incentivato l’ingresso nel mercato musicale di musicisti e videomaker che, fino a qualche anno fa, non potevano permettersi una produzione in pellicola?

Bisogna ricordare che la maggioranza dei videoclip del passato non erano girati in pellicola. Già dagli anni ’80 veniva utilizzata la tecnologia analogica che era in perfetta sintonia con il mezzo televisivo, per cui anche allora era possibile girare un video con poche lire e una telecamera vhs. Credo che da sempre il videoclip sia stato un mezzo di sperimentazione visuale dove chi si cimentava poteva spaziare dal linguaggio cinematografico a quello televisivo o artistico, senza farsi troppi problemi sul pubblico di destinazione e sulle richieste dei committenti. Oggi credo che sia ancora così, semplicemente il gusto di chi fa e di chi guarda videoclip ha preso altre strade.

Come è cambiato, se è cambiato, il modo di fare videoclip nell’era di Youtube e dei siti di video sharing? Hanno queste nuove piattaforme modificato, oltre alla modalità di fruizione, anche l’estetica e il format del video finale?  

Youtube è stata la vera rivoluzione per il mondo del video e della musica. Prima di tutto è un discorso di quantità. Il numero dei videoclip e dei progetti musicali è aumentato a dismisura. Oggi chiunque può fare un video e “distribuirselo” privatamente probabilmente anche io devo la mia esistenza professionale a youtube. Lo sconvolgimento che ha portato il web ha cambiato tutto, mentre ieri l’obiettivo di un video era “arrivare a MTV”, oggi è fare visualizzazioni. Questo ha cambiato il modo di fare video, abbassando gli standard di qualità e investendo molto di più sulle idee. Oggi nessuno vuole vedere più il cantante che canta e il chitarrista e il batterista che suonano in playback, per interessare il pubblico c’è bisogno di qualcos’altro.

Nel passaggio a Youtube e alle piattaforme di video sharing, c’è stata, a tuo avviso, una reale democratizzazione del prodotto videomusicale? Detto altrimenti, il mercato si è veramente aperto agli indipendenti e alla sperimentazione, o alcuni centri di produzione continuano ad esercitare un monopolio? Se sì, di che tipo? 

Se consideriamo che prima era una singola emittente televisiva a decidere chi meritava o meno di “passare” e oggi “passa” qualsiasi cosa credo che la democratizzazione è reale. Poi, come in ogni sistema democratico, c’è chi ha più potere degli altri, ci sono canali come Vevo ad esempio che hanno in mano la maggior parte delle visualizzazioni e degli iscritti. E’ anche vero che caricare un video su youtube senza un lavoro di promozione, nella maggior parte dei casi non porta a grandi numeri, ma non è escluso che questo non possa accadere. Credo che con il talento e un po’ di furbizia, sia nell’ideazione del video che nella sua promozione, ci si possa ritagliare il proprio spazio.

Quale pensi possa essere il futuro del videoclip? Credi nei videoclic (come a volte vengono definiti i videoclip interattivi) o nei videoclip in 3D? Quali prospettive aprirebbero, a livello sia estetico che di fruizione, tali innovazioni?

Io credo nella sperimentazione e cerco di sperimentare costantemente nei miei video. Per quanto riguarda video interattivi e 3D però, credo che si tratti di abbagli (oserei dire flare), ossia di fumo negli occhi. Sia l’interattività che il 3d sono tecnologie vecchie di decenni che ogni tanto ritornano in voga. Il futuro, almeno quello prossimo, del videoclip resta nel monitor di un portatile, le novità saranno nei modi di raccontare, nelle mode passeggere, insomma, quello che succede da quarant’anni a questa parte.

Qual è il margine di autonomia che, in Italia, hanno i singoli videomaker rispetto alle richieste delle case discografiche? In quali generi, o in quali contesti produttivi, viene ricercato o meno un prodotto video che abbia caratteristiche autoriali? Saresti capace di farmi qualche caso di studio o di darmi qualche contatto in tal senso? 

Io ho un approccio autoriale al videoclip e credo che se un’etichetta o un musicista mi contatta, è proprio perchè vuole un video originale ideato da me ed è quello che succede nella maggior parte dei casi. Confrontandomi con un contesto indipendente ho spesso carta bianca dai committenti.

Qual è il ruolo della televisione, oggi, nella diffusione del prodotto musicale? Come cioè, in un mercato contraddistinto dalla cultura dei “like” e dalla politica delle visualizzazioni, medium sostanzialmente passivi come la televisione o la radio possono reggere il confronto?

La televisione non esiste più. Almeno in Italia ha deciso per un suicidio silenzioso. Del resto io non ho una TV e la maggior parte delle persone che frequento non la guarda. Guardo tante serie americane e inglesi, ma le guardo on¬line, senza pubblicità, quando e dove voglio io. A che serve la televisione?

A livello di diffusione del videoclip, quali sono gli strumenti di promozione, se esistono, che una major discografica si può permettere e un’etichetta indipendente no?

Un progetto indipendente può contare prima di tutto sulla sua pagina facebook e sugli altri social, poi l’ufficio stampa può farlo girare sulle varie webzine e siti di musica indipendente. Le major fanno lo stesso ma ad un livello più alto, con uffici stampa più grandi che arrivano a testate nazionali o internazionali. Anche se non è detto che un prodotto indipendente non possa arrivare ad avere attenzione su siti nazionali, come  Repubblica o altri, che sono attenti anche a quello che succede nel mondo indipendente.

Quali sono, secondo te, i registi di videoclip più interessanti in Italia oggi? Quanto vengono effettivamente valorizzati come tali? Hai registrato un’evoluzione, nel corso degli anni, a livello estetico ? I festival dedicati ai videoclip svolgono un ruolo effettivo nella loro promozione, o nella visibilità del singolo videomaker?

I festival di videoclip possono influenzare la diffusione di un video e la visibilità di un regista, tuttavia anche qui il premio da solo non basta. La notizia del premio, se pubblicata solo sul sito del festival e sulla pagina del musicista non ha un impatto determinante, ma se fatta girare da un ufficio stampa può comportare una bella “botta” di visualizzazioni.

Sempre a livello estetico, credi o no che l’Italia, a livello di produzione videomusicale, soffra di un ritardo nei confronti degli altri mercati (quello anglosassone in primis)? E se sì, questo ritardo è dovuto semplicemente alla dimensione più ristretta del mercato (e quindi ad un minore investimento iniziale) o vi sono problemi più generali di mentalità dell’industria culturale italiana? Il fatto, cioè, che i brani di molte star nostrane non vengano associati a video particolarmente di qualità, è il frutto di un calcolo commerciale o di una sostanziale pigrizia di fondo?

L’industria culturale italiana è indietro su tutti i fronti rispetto alle altre europee. Il problema non sono i soldi, ma come vengono spesi e a chi vengono affidati. Se confrontiamo ad esempio la nostra situazione con quella spagnola (senza dover arrivare a quella inglese o tedesca), ci rendiamo conto che, a parità di budget, l’età media dei registi spagnoli è molto più bassa, che le tecniche utilizzate sono molto più avanzate, che la qualità dei prodotti è migliore e che i numeri di visualizzazioni sono maggiori. Questo avviene in tutti i campi dello spettacolo, se poi prendiamo nello specifico i videoclip di musicisti mainstream tipo Laura Pausini o Ligabue, ci rendiamo conto che siamo rimasti fermi agli anni ’90, ma forse questo va di pari passo con la musica mainstream italiana che non è in grado di lanciare un musicista di qualità da almeno vent’anni. Le ragioni per cui in Italia succede questo non le comprendo a pieno, citando Boris mi viene da pensare che forse siamo solo “troppo italiani”.

Qual è il tuo modus operandi? Ti lasci ispirare dal brano musicale o cerchi di sviluppare un discorso registico indipendente?

Generalmente oltre ad ascoltare il pezzo più volte guardo i video precedenti del musicista, guardo le sue foto, la copertina del disco e cerco di capire l’immagine che vuole dare di sè, di calarmi nel suo mood. Poi se ho la possibilità di incontrarli e di avere uno scambio con loro è ancora meglio. Cerco sempre di instaurare un rapporto sincero con i musicisti e con alcuni ho stabilito delle vere e proprie amicizie. Quando accade questo, mettersi a lavorare su un’idea per un video insieme è molto più semplice e costruttivo. E’ più facile andare a fondo alle cose e arrivare a qualcosa che riesca davvero a completare la musica.

In “Qwerty” di K-Conjog tutte le scene si svolgono all’interno di un occhio. Si tratta di una sovrapposizione con mascherino? Da dove è venuta l’ispirazione? Quanto tempo hai impiegato a realizzarlo?

In Qwerty non ci sono effetti speciali o sovrapposizioni, sono tutte immagini riprese di un occhio e dei riflessi della luce antistante. L’idea di piazzare un obbiettivo a pochi centimetri da un occhio e di inscenare qualcosa di fronte ad esso è stata del direttore della fotografia del video Salvatore Landi. Le riprese sono durate due giorni e il budget era davvero esiguo (meno di 500€). Questo dimostra come un’idea possa essere determinante anche con un budget minimo, anche se sono sicuro che, se avessimo avuto a disposizione di più, sarebbe venuto sicuramente meglio.

In “Questa vita cambierà” di Nada, la cantante, a differenza di altri tuoi video, è totalmente assente. Si tratta di una scelta tua o di una direttiva ben precisa da parte della casa discografica (o di Nada stessa)? C’è un film in particolare a cui ti sei ispirato per questo video?

Quando mi ha contattato Nada non mi ha dato dei paletti, mi ha detto che per lei non era necessario comparire nel video. Mi ha dato degli spunti narrativi, derivanti dal testo del pezzo e insieme abbiamo trovato una storia che potesse dare quel senso senza peròessere troppo didascalico. Prima di girare ho rivisto “Le Iene” di Tarantino e la trilogia dei Pusher di Refn.

Raffaele Pavoni

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