Una chioma rossa e due occhi azzurri, grandi come quelli dei bambini protagonisti dei dipinti di Margaret Keane, la cui incredibile storia fatta di truffe e insicurezza, rivive nel Big Eyes burtoniano, grazie proprio all’interpretazione di Amy Adams, sono i segni distintivi di questa giovane attrice che si è imposta nell’olimpo hollywoodiano in una manciata di anni come uno dei nomi più influenti e amati dell’industria cinematografica. Con cinque candidature agli Academy Awards e una gavetta fatta di film (Bella da morire, Cruel Intentions 2) e serie tv (That ’70s Show, Buffy) assapora il successo nel 2002 grazie a Steven Spielberg che le affida il ruolo dell’impacciata infermiera con i codini e l’apparecchio che fa girare la testa al truffaldino Leonardo Di Caprio in Prova a prendermi fino ad ottenere la prima nomination agli Oscar con Junebug, pellicola presentata in concorso al Sundance nel 2005. La fama mondiale arriva due anni dopo grazie al ruolo della principessa canterina Giselle in Come d’incanto, pellicola diretta da Kevin Lima e prodotta dalla Disney.
Senza rimanere incastrata negli sfarzosi panni della dolce eroina, la Adams inizia ad alternare commedie leggere (Una notte al museo 2) e indipendenti (Sunshine Cleaning) a pellicole più impegnative. Ne sono esempi Il dubbio, dove incarna il ruolo di una giovane suora consumata dal tarlo del sospetto, affiancata da Philip Seymour Hoffman e Meryl Streep, la sua interpretazione della forte e combattiva Charlene in The Fighter, pellicola diretta da David O. Russel con il quale tornerà a lavorare in American Hustle grazie al personaggio dell’imbrogliona Lady Edith Greensly, ottenendo per tutte e tre le prove attoriali una candidatura agli Oscar. Il suo talento le ha permesso di lavorare, al tempo stesso, con registi acclamati come il compianto Mike Nichols (La Guerra di Charlie Wilson), Paul Thomas Anderson (intensa nel ruolo di Peggy Dodd, devota a “La Causa” in The Master), Spike Jonze (Her) e a produzioni più commerciali (I Muppet, L’uomo d’acciaio), mentre la sua espressività camaleontica l’ha resa malleabile come l’oro della statuetta che rincorre, ruolo dopo ruolo, e che ben presto, c’è da scommetterci, riuscirà ad impugnare.
Manuela Santacatterina