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Interviews

Intervista a Peter Marcias

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Peter Marcias è un giovane regista italiano che da anni si occupa di cinema realizzando documentari e lungometraggi di fiction. Nato ad Oristano, ha studiato cinema tra Roma e Bologna, conservando profondamente le radici alla sua isola, presente in moltissime sue opere. L’abbiamo intervistato per conoscere anche il suo punto di vista sul cinema indipendente.

Come vivi, in qualità di regista di cinema indipendente, l’isolamento che spesso questo tipo di cinema subisce?

In verità non sento questo isolamento perché lavoro tanto. Però sono due mondi separati il cinema indipendente e quello così detto commerciale. L’ho provato in prima persona quando è uscito nei cinema il mio film “Un attimo sospesi” (2008), in cui gli esercenti discutevano di numeri e incassi, ed io invece mi ero solo preoccupato di finire bene il film e stavo a sentire l’audio se andava bene. Lavorare da ‘indipendente’ mi ha permesso di crescere e sperimentare, questo è importante.

Il tuo documentario “Ma la Spagna non era cattolica?” affronta il tema dei diritti per gli omosessuali in un parallelo, spesso imbarazzante, tra il nostro Paese e la Spagna. Secondo te quali possono essere stati i fattori che hanno condotto la Spagna ad una tale apertura sociale?

Ho curato i contenuti speciali del cofanetto dvd + libro di “Ma la Spagna non era cattolica?” (2007) uscito in tutte le librerie d’Italia. La Spagna è un paese moderno,è stato guidato da un leader giovane che ha ascoltato i problemi dei suoi cittadini. Il contrario dell’Italia.

Hai dovuto superare degli impedimenti o intromissioni importanti per la realizzazione del documentario, dato l’argomento spinoso affrontato?

Appena ho proposto il progetto scritto con Marco Porru nessuno ci ha creduto. Ho parlato con tanti produttori e distributori. Ma mi sono “armato” di coraggio e mi sono messo a lavorare. A Roma ho girato più di ottanta ore di discussioni per la strada. I politici non mi hanno ricevuto a parte qualcuno gentile come Franco Grillini. Per non parlare dei sacerdoti e delle suore: neppure una parola. Però sono andato avanti, l’ho montato e grazie alle Giornate di Cinema Omosessuale di Venezia curate da Daniel Casagrande e al Festival GLBT 2007 di Torino, dove il film era in concorso, l’ho mandato in sala. L’abbiamo presentato in molti festival internazionali ed è stato venduto in tante tv nel mondo, con grande soddisfazione.

Qual è il tuo genere cinematografico di riferimento, se ne hai uno? Da quali registi, nazionali o internazionali, ti senti ispirato?

Non ho un genere cinematografico di riferimento. Fin da piccolo guardavo tutti i tipi di film. Davvero. Dall’età di 13 anni ho frequentato la Cineteca di Cagliari dove c’erano rassegne di ogni tipo, da Fellini, Ozu, Cassavettes, dalla Nouvelle Vague ai film a tematica queer e videoarte. In questi anni ho riscoperto tutto Robert Altman, adoro Peter Weir, Mike Leigh, Todd Solondz e James Gray. Tra gli italiani seguo con grande piacere Gianni Amelio, Carlo Mazzacurati, Mario Martone e trovo geniale Paolo Sorrentino. Ma vedo sempre tutto di tutti. Il cinema è una seconda casa, ogni due giorni ci entro!

Credi che possano esistere in futuro nuove forme di distribuzione, magari interattive, che siano per il cinema indipendente strade alternative verso il pubblico?

Ma già ci sono, il pubblico preferisce acquistare un dvd di un film indipendente, inedito o uscito in poche sale, così lo “gusta” meglio in casa. E si vede con piacere i contenuti extra e i backstage. La sala ormai è per pochi, per i film che comunque rispettano quegli incassi molto elevati. Il cinema indipendente ci sarà sempre, anzi è in crescita e lo dimostrano gli ultimi dati Anica. Sono abbastanza positivo, purtroppo però c’è una crisi generale e questo tocca tutti.

 

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