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Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate: la recensione del terzo capitolo della saga

Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate è il capitolo finale della trasposizione cinematografica del romanzo Lo Hobbit realizzata da Peter Jackson. Girata nei paesaggi bucolici della Nuova Zelanda, la pellicola uscirà nelle sale italiane il 17 Dicembre 2014 distribuita da Warner Bros. Italia.

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Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate è il capitolo finale della trasposizione cinematografica del romanzo Lo Hobbit realizzata da Peter Jackson. Girata nei paesaggi bucolici della Nuova Zelanda, la pellicola uscirà nelle sale italiane il 17 Dicembre 2014 distribuita da Warner Bros. Italia.

Trama

Dopo aver lasciato la Montagna Solitaria, il perfido drago Smaug si abbatte contro l’umile popolazione di Pontelagolungo che, sola e disperata, chiede asilo al re Thorin Scudodiquercia, rifugiatosi nel castello insieme al piccolo Bilbo Baggins e alla compagnia dei Nani. L’uomo, però, accecato dal potere e dalla brama di ricchezza, non vuole condividere con nessuno la sua fortezza né separarsi dall’oro. Mentre Elfi e Umani si preparano ad attaccare la roccaforte, Gandalf il Grigio scopre che Sauron ha coordinato un esercito di orchi e mangiaterra per divenire il signore incontrastato della Terra di Mezzo. Mettendo da parte le questioni personali, allora, gli Uomini, gli Elfi e i Nani sono costretti ad allearsi per salvare il destino dell’umanità.

Recensione 

Come i grandi eroi del passato, anche il piccolo Bilbo Baggins, umile tra gli umili, viene scelto per compiere un’impresa titanica senza precedenti. Unitosi a una compagnia di guerrieri, stregoni e (mezzi) uomini disposti a sacrificare le loro vite per salvare le sorti del popolo, Bilbo sembra l’unica nota stonata dell’intera sinfonia. Non sa combattere, non conosce la magia e non possiede alcuna forza bruta: è semplicemente un abile – ma onesto – scassinatore. Con il passare del tempo, davanti all’inesorabile ostinazione dei suoi amici, il piccolo hobbit comprende il valore dell’amicizia, della lealtà e dell’amore incondizionato per uno scopo, una missione, un’ideale.

Dopo aver fronteggiato numerose battaglie e aver visto da vicino come la malattia del drago riduce l’uomo, infatti, Bilbo si scopre una persona nuova, forte e coraggiosa, capace di rinunciare (quasi) a tutto ciò che possiede per il bene di un compagno. Sorta di Ulisse omerico, utilizza la propria intelligenza per aggirare gli ostacoli, guardarli da un’altra prospettiva e, infine, superarli strategicamente. Tutta la sua stima converge in Thorin Scudodiquercia, Re dei nani, un abile condottiero, un astuto stratega, un homo novus destinato a lasciare il segno. Monarca a tutto tondo animato da passioni shakespeariane che ne logorano la mente, combatte contro i pregiudizi, contro gli stereotipi e contro l’indole della sua stessa natura per sconfiggere il male interiore che ne sta corrompendo l’anima. Sostenuto da amici veri, leali e sinceri, l’uomo torna sui suoi passi, ammette i suoi errori e riscatta l’onore che aveva dimenticato.

In un regno in cui i sentimenti sono più devastanti di qualsiasi brama materiale, dunque, la purezza d’animo dei Baggins si erge incontrastata in tutta la sua luminosità e li connota come gli indiscussi protagonisti dell’intera esalogia tolkeniana. Per il capitolo finale de Lo Hobbit, gli sceneggiatori Jackson, Walsh, Boyen e Del Toro puntano l’attenzione sullo scontro tra fazioni, in una sorta di gioco perverso in cui i quattro elementi naturali devono, necessariamente, scontrarsi e fondersi per scoprirsi complementari. Con pennellate fredde, glaciali e aride, la Terra di Mezzo, da paesaggio bucolico e ameno, diviene terreno di scontro spietato poiché petrarchesco paesaggio stato d’animo dei suoi protagonisti.

Utilizzando le coreografie sceniche di una danse macabre sincronica e ineluttabile, Jackson ritaglia un posto anche per i sentimenti più profondi, per le gioie represse e per le passioni interrotte, riuscendo, così, a sfoggiare dettagli esasperati in concitate riprese a strapiombo. In un impianto scenico mastodonticamente barocco, una live action di ultima generazione e una pregiata CGI si uniscono a una ripresa frenetica e appassionata a 48 frame al secondo il cui ritmo serrato crea un climax ascendente di tensione che immette subito lo spettatore in una spirale centripeta di euforia e disperazione.

Evidenziando, dunque, la componente drammatica e avventurosa di tutta la storia, Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate si rivela un film di guerra a tutti gli effetti in cui gli sguardi affranti e le lacrime di dolore degli eroi feriscono più a fondo di qualsiasi freccia o spada. Senza ombra di dubbio, il capitolo finale della trilogia non è un prodotto perfetto, ma è proprio nelle sue crepe, nelle sue ombre e nelle sue frasi lasciate a metà che emerge la vera anima di Jackson, quella che unisce sentimentalismi ad amara rassegnazione e che rinuncia ai propri personaggi pur amandoli alla follia.

Il trailer di Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate

Martina Calcabrini

 

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