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Giulio Questi: il ricordo

E’ morto Giulio Questi. Il suo nome, proprio negli anni, è rimasto fortemente legato soprattutto ad un favoloso film “western”, girato nel 1967, Se sei vivo spara. Ma in realtà la carriera di Giulio Questi, pensiamo, è stata molto più importante, molto più significativa, molto più personale ed intima

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E’ morto Giulio Questi.  Il suo nome, proprio negli anni, è rimasto fortemente legato soprattutto ad un favoloso film “western”, girato nel 1967, Se sei vivo spara.  Ma in realtà la carriera di Giulio Questi, pensiamo, è stata molto più importante, molto più significativa, molto più personale ed intima, e questo anche al di là del fatto che Se sei vivo spara  ha continuato a restare, nella filmografia di Questi, il  film che lui ha decisamente preferito e che lo ha perfettamente rappresentato,  vuoi per il risultato artistico e commerciale, vuoi anche per la rocambolesca avventura produttiva.

Diceva Giulio Questi: “Io non sono mai stato un vero cinefilo in vita mia, nemmeno dopo essere diventato un regista cinematografico. Ho solo preferito certi film, come tutti d’altronde, ad altri. La mia carriera poi non è stata proprio prolifica in titoli cinematografici e forse la ragione di questa è stata anche in questa mia caratteristica. Giulio Questi diceva invece di amare assolutamente la letteratura, infatti i suoi ultimi impegni in campo artistico sono tutti in questa direzione.  Proprio in questi ultimi mesi aveva dato alle stampe titoli come  Uomini e comandanti,  dove aveva curato una raccolta di racconti dedicati in gran parte alla sua esperienza tra i partigiani, negli anni dell’ultima guerra,  ed aveva raccontato, proprio con la minuzia del particolare, la sua carriera in  Se non ricordo male. Frammenti autobiografici, edita dalle edizioni della Rubettino. Anche i suoi inizi d’altronde erano stati di natura letteraria,  a Bergamo sua città natale, prima della sua venuta a Roma, aveva fondato una rivista, L’Approdo, specializzata soprattutto nell’approfondimento delle tematiche politiche e culturali del momento, dove con il tempo cominciarono a collaborare anche firme importanti.  Anche il primo circolo del cinema fondato a Bergamo, insieme ad un amico molto interessato alla critica cinematografica, porta innanzitutto la sua tenacia e la sua volontà.  A Milano poi, dopo la laurea in  lettere e filosofia, inizia a  lavorare come giornalista al Politecnico letterario, rivista  fondata a Milano dal grande scrittore  Elio Vittorini.

La carriera di Questi nel cinema inizia, come moltissimi altri registi in quel decennio dei cinquanta, con il documentario. Gira infatti nella sua Bergamo un documento filmico dedicato alla città. È un avvenimento, perché il documentario, nonostante la pochezza dei mezzi a disposizione dei realizzatori, riuscirà ad avere un invito alla mostra del cinema di Venezia. È quindi un successo, anche se per Questi quel suo primo lavoro rimane  “un piccolo film, girato anche in maniera decisamente rozza e senza uno stile ben preciso”. Ma per Giulio Questi, al di là di trovarsi a Venezia, ed in una manifestazione tra le più importanti a livello internazionale, il significato maggiore rimane l’approccio, finalmente completo, con la cinepresa, è insomma “la familiarità con il mezzo cinematografico”.    Grazie a questo documentario, Giulio Questi comincerà ad interessarsi, subito dopo e seriamente, a tutto quello che comporta la realizzazione di un film, come l’importante fase del montaggio in moviola. Grazie alla realizzazione di questo documentario bergamasco Questi ha modo di farsi conoscere abbastanza nell’ambiente del cinema. Ed una proposta di lavoro cinematografica arriva subito: è il Touring Club di Milano a commissionare a Questi un documentario dove potere raccontare, in assoluta libertà di espressione artistica, le città turistiche di  Viareggio, Cortina D’Ampezzo, Viareggio.

Giulio Questi comincia ad amare intensamente anche il cinema, ne è forse assolutamente sedotto, anche se continua a non giurarlo mai. Gira in quegli anni anche altri documentari come Donne di servizio (1950) e Viaggio nelle terre basse (1958). La discesa a Roma, capitale indiscussa del cinema italiano, a questo punto, è voluta,  cercata. Giulio Questi arriverà a Roma nel 1960 con il risultato di non lasciarla mai più. Diceva Questi: “Era autunno, c’era del vento, sono rimasto incantato, vedevo delle nubi che correvano alte nel cielo di Roma, nuvole barocche, che dalle mie parti non avevo mai visto”. Nella città eterna avvengono dunque i primi contatti con quello che è il meraviglioso mondo del cinema italiano degli anni sessanta: il primissimo proprio con Luchino Visconti e con il suo aiuto Franco Zeffirelli, e con la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, che stavano preparando un film, La carrozza d’oro, che verrà realizzato dal grande regista  Jean Renoir.

 

Ricordava Giulio Questi: “Quel giorno avevo portato una credenziale a Visconti, un mio articolo scritto allora per un giornale importante, che era L’Avanti, dedicato al suo film  La terra trema. Ne avevo scritto parlandone ovviamente bene perché il film era davvero una novità cinematografica abbastanza sconvolgente. In quegli stessi anni Giulio Questi incontra poi il regista napoletano Ettore Giannini, di cui sarà il suo aiuto per Carosello napoletano, film che diventerà un’opportunità concreta per conoscere più da vicino, e poi frequentare, intellettuali come il regista Francesco Rosi e lo scrittore Raffaele La Capria, e poi il regista Valerio Zurlini, con cui Questi collaborerà nei suoi primissimi documentari e di cui diventerà l’aiuto nell’imminente  Le ragazze di San Frediano.

L’incontro decisivo, però, quello che sarà il forte segnale per la carriera romana di Giulio Questi, sarà con Cesare Zavattini, il grande scrittore e sceneggiatore, uno dei padri nobili insieme a Roberto Rossellini, Giuseppe De Santis, Vittorio De Sica, del grande movimento culturale del cinema italiano, il neorealismo. Sotto l’ egida di Cesare Zavattini nel 1962 va in porto il film Le italiane e l’amore (la sceneggiatura è basata sul libro di Gabriella Parca, Le italiane si confessano)  dove una serie di giovani registi – oltre a Giulio Questi ci sono Nelo Risi, Lorenza Mazzetti, Francesco Maselli, Marco Ferreri, Florestano Vancini, Carlo Musso, Giulio Macchi, Gian Vittorio Baldi, Piero Nelli – confermerà, sul terreno del cinema industriale, quella che è la poetica straordinaria di Cesare Zavattini, per quei tempi assolutamente avanguardista, e realizzerà, infine, un film di forte impianto civile, uno dei primissimi, in fondo, di un movimento che diventerà basilare negli anni seguenti per il cinema italiano.

Il cinema è ormai, sempre di più, la superficie professionale di Giulio Questi. Sarà subito dopo il produttore Angelo Rizzoli a chiamare Questi per il film  Il passo, un episodio del film  Amori pericolosi (1964) che vede tra gli interpreti Frank Wolff, Juliette Mayniel ed una giovanissima Graziella Granata. Gli altri due episodi del film saranno firmati da Carlo Lizzani e da Alfredo Giannetti.  In questo frangente Questi ha modo di conoscere quello che si rivelerà un autentico collaboratore, artistico ed umano, un amico fraterno, lo sceneggiatore e tecnico del montaggio Franco Arcalli detto Kim.  Li accomuna in fondo la stessa esperienza umana: entrambi sono stati partigiani ed hanno assistito alle atrocità più inverosimili della guerra, ed entrambi ora vivono a Roma con l’intenzione di farsi strada nel cinema italiano. Le notti intellettuali di Roma diventano le loro notti, la vita di Piazza del Popolo, dell’osteria Menghi, del bar Canova, diventa la loro vita. Le grandi ubriacature, insieme agli intensi rapporti intellettuali con pittori, scrittori, giornalisti, artisti da strada costituivano la vita quotidiana nella Roma degli anni sessanta per Arcalli e Questi.

Ricordava Giulio Questi: “Avevano cominciato a chiamarci Jules e Kim, proprio in onore al bellissimo film di Francoise Truffaut,  Jules e Jim, bandiera incomiabile della  novelle vague francese”.    Con Kim Arcalli Giulio Questi realizzerà quello che rimane il suo film più famoso ed il suo più celebrato, appunto, Se sei vivo spara  interpretato da uno strepitoso Tomas Milian e da Piero Lulli e Marilù Tolo.

Ricordava Giulio Questi: “Un film fatto su commissione di un produttore assolutamente pazzo ma geniale come era Sandro Iacovoni si era trasformato, nella grammatica della mia filmografia commerciale, nel film che poi in assoluto ho sempre preferito. Perché nella banalità, in fondo, della sua cornice western, c’era dentro invece tutta l’assurda violenza che io e Kim avevamo vissuto durante la guerra partigiana”.

Il film ormai rimane un opera cult estrema, Quentin Tarantino e Joe Dante non si stancano mai di omaggiarlo e di citarlo continuamente. Oggi, questo film di Giulio Questi, è proprio un riferimento di studio, di accademia, e per noi anche di nostalgia. E pensare che Se sei vivo spara è nato proprio per caso.  Ricordava Giulio Questi: “io e Kim eravamo a casa a scrivere la scaletta di quello che doveva essere il nostro prossimo film da girare,  la morte ha fatto l’uovo, quando bussa alla porta il produttore Sandro Iacovoni. Lui aveva assolutamente bisogno di noi perché dovevamo buttagli giù immediatamente una scaletta per un western. Insomma per abbreviare la cosa ci fece interrompere la scrittura della sceneggiatura de  La morte ha fatto l’uovo  insistendo sul fatto che in quel momento il mercato voleva un western atipico. Ma a me e ad Arcalli il genere western non aveva mai davvero interessato, noi cercavamo cose più autentiche, però Iacovoni riuscì a convincerci buttando giù la promessa di un impegno per la produzione del nostro prossimo film, quello che stavamo appunto scrivendo in quel momento.  La decisione finale, giunta come una illuminazione per Giulio Questi e Kim Arcalli, è stata  “fortunatamente” diceva Questi, quella di accontentare il produttore Iacovoni e fare il suo western, di consegnarli in brevissimo tempo l’ampia scaletta e dopo la sceneggiatura. Dice Giulio Questi: “Se sei vivo spara  fu girato a Madrid, con pochissimi soldi, dentro un cantiere, e stando ben attenti a non inquadrare gli operai al lavoro e le tante case che insistevano attorno al nostro proscenio”.   Se sei vivo spara ottenne decisamente un successo internazionale, lo stesso Giulio Questi ha poi sempre riconosciuto che il successo della pellicola era forse da ascriversi un po’ anche  alla equivocità del film, al suo occhieggiare e sbeffeggiare in definitiva a più generi cinematografici.

Diceva Giulio Questi: “Si perché Se sei vivo spara  più veniva visto e più generava domande tipo  “ma è un film western?”  O è un film di avventura?  E’ un film esistenzialista oppure è un film che parla per la prima volta degli omosessuali? Oppure è un film sulla violenza, vale a dire un film horror?  Si, è anche un film horror”.

Ed è un po’ la morale, pensiamo, di quello che succederà anche con il film successivo, appunto La morte ha fatto l’uovo (1968) interpretato da Jean Louis Trintignant, Ewa Aulin, Gina Lollobrigida.

Diceva Giulio Questi: “La morte ha fatto l’uovo, in verità, è risultato ancora più equivoco de  Se sei vivere sparaperché era un film che poteva essere visto come un thriller, ma anche come un opera sociologica, come un film sulle perversioni sessuali, perciò sull’erotismo, ma anche come un film sulla società dei consumi. Infine, e penso sia stata la sua fortuna industriale, il film è stato registrato, e questo insiste anche nei listini commerciali dei dvd, come un film erotico, pur non essendolo affatto”.

In definitiva come oggi Giulio Questi definiva i suoi film? Rispondeva Questi: “Semplicemente pop. Questo perché i miei film si avvalgono continuamente degli stilemi del cinema di consumo di tutti i generi per raccontare in fondo una storia che è completamente al di fuori di ogni genere. Per cui il mio motto è: i film muoiono, i generi sopravvivono

Il suo ultimo film, distribuito solo nei pochi circuiti d’essai è By Giulio Questi. Sette cortometraggi realizzarti in digitale ed oggi raccolti in una edizione a doppio dvd.

Diceva Questi: “Sono i film che faccio oggi quelli più vicini perché io non tengo più conto del cinema, della macchina cinema, ma solo del mio rapporto con quello che vedo e con quello che illumino, tanto è vero che sono sempre io l’attore. Questo è, per me, il momento della verità più assoluta perché la videocamera ti da sempre e comunque l’immagine. Appena l’accendi, bella o brutta, hai l’immagine. Ed avverti un pò la stessa libertà che ti da la penna stilografica quando scrivi un racconto su un foglio bianco, solo che hai la luce come materiale creativo, al posto dell’inchiostro”.  Era un po’, Giulio Questi oggi, pensiamo,  un ritorno al Giulio Questi giovane filosofo a Milano.

Giovanni Berardi

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