Mario Martone e Giovanni Berardi
Abbiamo sentito qualche giovane buontempone, davanti ai manifesti pubblicitari de Il giovane favoloso, l’ultimo film di Mario Martone, dire: “che palle. Sto cazzo di Leopardi anche qua..”. Bhe, noi pensiamo, che a quindici anni, attraverso la cultura trasmessa da questa nostra scuola italiana, dire questo, e crederci anche, è sicuramente possibile. Semplicemente perché la nostra è una scuola che non è mai riuscita, negli anni e crediamo non ci riuscirà mai, a fare capire ai giovani il valore sensibilissimo della storia culturale di Giacomo Leopardi. Noi vogliamo sperare, per questo, in Mario Martone, nel suo splendido film, anche, forse soprattutto, nella splendida interpretazione di Elio Germano.
Dice infatti Mario Martone: “Appena ho avuto l’idea di fare un film su Leopardi, il mio pensiero per l’attore perfetto per impersonare il poeta è caduto subito su Elio Germano”. Ed il film se ne avvale completamente di questa bravura. E poi Mario Martone è riuscito, nel suo ruolo di sceneggiatore insieme ad Ippolita Di Maio prima e nel suo ruolo di regista dopo, a creare un film in cui si cela, accanto ed insieme a tutta l’ opera del poeta, quella relazione perfetta e decisa tra l’ambiente e la vita. Perché il Leopardi affrontato da Martone non è come il Leopardi studiato al liceo, di cui lo studente, come abbiamo capito al capoverso, è sicuramente piuttosto stufo. Il film sottolinea piuttosto un processo di rivolta quando presenta Giacomo Leopardi come effettivamente era: un intellettuale contro le regole, un intellettuale prodigo semplicemente di concreti dubbi piuttosto che di vaghe certezze.
Dice Mario Martone: “Sono partito da un confronto deciso e serrato, tra me e la sceneggiatrice Ippolita Di Maio, su come affrontare prima e scrivere dopo la sceneggiatura de Il giovane favoloso. La previsione naturalmente era quella di trovarsi letteralmente sommersi di fronte alla straordinaria montagna di lettere, di documenti, di scritti su Leopardi e di Leopardi. Dopo, naturalmente, c’era anche tutta la sua opera letteraria, la sua interpretazione della vita e del mondo. Quello che è prevalso è che noi dovevamo restare semplicemente sulle carte, così come lo raccontano, e non tentare nessuna interpretazione. Abbiamo capito anche che era necessario lasciare assolutamente intatte quelle soglie di mistero che da sempre avvolgono gli aspetti intimi e segreti del poeta”.
Mario Martone intanto ha diviso il suo film in tre percorsi esistenziali di Giacomo Leopardi, tre essenziali percorsi vissuti a Recanati, dove era nato, poi a Firenze, a Roma e a Napoli. Martone dunque racconta la prima infanzia e la giovinezza del poeta, uno studioso di eccezionale talento (la sua biblioteca nella meravigliosa casa di Recanati conta ben ventimila volumi, tutti rivestiti in pergamena bianca, e di questi volumi oltre diecimila “il giovane favoloso” li aveva letteralmente studiati ed analizzati solo negli anni della prima adolescenza), ne racconta poi la salute cagionevole, ma soprattutto si sofferma sul grandissimo desiderio di uscire dalla casa paterna, in fondo vissuta quasi come una prigione, e di incontrare il mondo e l’umanità del mondo soprattutto, anche quella umanità femminile che a lui, per via della salute piuttosto cagionevole che lo aveva proprio piegato nel fisico, era in qualche modo preclusa, e di vivere infine e di sostenere anche, le idee rivoluzionarie della società.
Incontriamo il regista Mario Martone a Fondi, nei giorni gloriosi del FondiFilmFestival, manifestazione dedicata all’arte cinematografica di Giuseppe De Santis, nativo del paese, non lontano anche dal luogo, Itri, dove viveva una speciale amica e fondamentale collaboratrice di Mario Martone, la scrittrice Fabrizia Ramondino. La Ramondino é morta qualche anno fa mentre nuotava nel suo adorato mare di Gaeta, una morte apparsa quasi misteriosa, si era pensato all’epoca che la scrittrice fosse stata vittima di un infarto forse innescato da un bagno avventato. Mario Martone perdonerà se per un attimo viriamo verso Fabrizia Ramondino, ma l’occasione è ghiotta, Fondi ed Itri (il paese che fu terra essenziale di pastori e di briganti) distano davvero pochissimi chilometri l’una dall’altra. Per Mario Martone la morte così inaspettata della Ramondino fu davvero un colpo tremendo. Il regista, al nostro rievocare, si sofferma sulla scrittrice, quasi ad imbastire un tentativo di ricordo: “Un carattere molto elegante nella sua semplicità, Fabrizia. Poi quella sigaretta sempre accesa tra le labbra sembrava donarle davvero quella aria da eterna ragazza”. Con lei Mario Martone ha sceneggiato il suo primo bellissimo film, Morte di un matematico napoletano, 1992, un capolavoro. Dice Martone: “Non fu facile convincere Fabrizia a scrivere per il cinema. Per questa arte lei non aveva, fino ad allora, provato un grande interesse. Però io ero davvero convinto: nessuno meglio di lei poteva aiutarmi a scrivere quella sceneggiatura”. Quando Martone riuscì a strapparle il primo appuntamento, venuto dopo tante insistenze, il rapporto tra loro non si è più interrotto. Dice Mario Martone: “Fabrizia era molto contenta del fatto che per interpretare la figura del professor Renato Caccioppoli avevo pensato da subito a Carlo Cecchi, un attore che Fabrizia aveva conosciuto benissimo attraverso Elsa Morante”. Continua Mario Martone: “Tutto il lavoro ed il rapporto con la Ramondino fu davvero speciale, bello, anche misterioso”. Ed infatti ci fu tra loro una continuità essenziale: Mario Martone portò in teatro il testo letterario di Fabrizia Ramondino, Terremoto tra madre e figlia, 1994, e subito dopo, Martone e la Ramondino firmarono insieme la sceneggiatura de La Salita, l’episodio firmato da Martone per il film I vesuviani, 1997. Anche il film L’amore molesto, 1995, bellissimo, nasce da un invito della Ramondino a leggere il libro di Elena Ferrante, da cui il film è tratto.
Dice Martone: “Sui giornali si era ipotizzato anche che Elena Ferrante, autrice sotto pseudonimo, del romanzo L’amore molesto, fosse in realtà lei. Non era assolutamente cosi”. Continua Martone: “La scrittura di Fabrizia Ramondino, così moderna, non rievoca davvero giudizi scontati ed immediati. Ogni scritto di Fabrizia cela il saggio, il romanzo, la meditazione, il diario, il fluire dei pensieri”. A Fondi Mario Martone è stato protagonista, finalmente, di una accurata retrospettiva, decisamente necessaria, aggiungiamo, per le prospettive di qualità espresse da anni dal Fondi: Morte di un matematico napoletano, 1992, Rasoi, 1993, L’amore molesto, 1995, I vesuviani, 1997, Teatro di guerra, 1998, L’odore del sangue, 2004, Noi credevamo, 2010. Tutti questi titoli sono stato da noi molto amati, e pur senza dare giudizi critici la specificità scelta per la rubrica in qualche modo li rigetterebbe, piace però, in questo contesto, stilare una sorta di ordine di puro gradimento, naturalmente assolutamente personale. Insomma certi titoli, per le più svariate ragioni, sono stati condivisi più di altri: Teatro di guerra e Morte di un matematico napoletano, dopo L’amore molesto e L’odore de sangue. Ora è su quest’ultimo titolo, un film che noi pensiamo anche come il più sottovalutato tra i titoli di Martone, che vogliamo soffermarci e motivare un tipo di gradimento: l’adattamento che ne fa Mario Martone de L’odore del sangue rimane assolutamente esemplare.
L’odore del sangue è tratto da un romanzo dello scrittore Goffredo Parise, scritto nel decennio degli anni settanta e terminato poi nel 1979. In qualche modo Goffredo Parise chiude il romanzo nell’anno in cui è forte in Italia il sentore della fine imminente degli anni di piombo. L’odore del sangue viene pubblicato solo nel 1997, esattamente nove anni dopo la morte del suo autore, Goffredo Parise, scomparso nel 1986. In mezzo maturano decisi gli anni che segnano il punto di crisi delle grandi ideologie del novecento. Il risultato oggi, in fondo, è sotto gli occhi di tutti: l’affermazione assoluta di un esercizio politico condotto secondo regole “ideologiche” in cui i valori assoluti diventano il cinismo e l’ arrivismo senza un ombra di scrupolo. In questo clima viaggia l’adattamento che Mario Martone fa de L’odore del sangue: i giorni nostri. Ed in questo clima si ricerca e si trova la bellezza assoluta dell’opera cinematografica. Il clima dei giorni nostri con la consapevolezza di tutto il retroterra storico del decennio settanta, gli anni della scrittura del libro, un retroterra che nelle immagini si avverte miracolosamente tutto, anche attraverso la fisicità e la maturità della coppia protagonista in scena, Fanny Ardant e Michele Placido, in grado di far recitare e sottolineare, a testimonianza del tempo passato, anche la loro età anagrafica. In fondo si ha anche la sensazione netta di percepire, ed anche con qualche brivido, in questo clima di rappresentazione riuscita da Martone, persino gli echi di alcuni libri storici del periodo in cui Parisi scriveva il romanzo, che so, come gli Scritti Corsari o Le lettere Luterane ad esempio, entrambi scritti da Pier Paolo Pasolini, ma anche tutta quella serie di articoli, redatti proprio da Goffredo Parise, quando nel 1976 sul Corriere Della Sera, e dopo la morte violenta di Pier Paolo Pasolini, darà vita ad una rubrica periodica con lucidi scritti proprio dedicati al “Nuovo Potere” ed alla “Nuova Cultura”, un dibattito in fondo nato in Goffredo Parise proprio per approfondire e completare i temi pasoliniani de “l’omologazione” e dello “sviluppo senza progresso”, che Pier Paolo Pasolini aveva in animo ed in mente negli anni che lo porteranno alla morte.
Il merito grosso del film di Mario Martone, e che ci ha inciso totalmente, è certamente, anzi soprattutto, in questo presupposto. L’odore del sangue, il film come il romanzo, nel concreto narra la storia di una ossessione, di un chiodo fisso, quello della gelosia morbosa, malata, che in fondo staziona sempre, più o meno assopita, in ogni uomo, in ogni coppia. Ma L’odore del sangue è, soprattutto, lo spaccato di un epoca e di una società: la nostra.
Giovanni Berardi