“Jessica Hausner, giovane e promettente regista austriaca, maneggia con inaudito coraggio la metafora religiosa per frugare tra le pieghe dell’animo umano e tracciare, con una sobrietà e un distacco davvero sorprendenti….”
I miracoli non sono impossibili, neanche unici, semmai rari. Se per miracolo intendiamo la discontinuità discreta che interrompe la scialba causalità che lega i fenomeni o, meglio ancora, quell’evento a partire da cui si riorganizza la struttura di una situazione, allora, senza temere d’essere inseriti nella lista dei visionari, possiamo affermare: i miracoli accadono.
Jessica Hausner, giovane e promettente regista austriaca, maneggia con inaudito coraggio la metafora religiosa per frugare tra le pieghe dell’animo umano e tracciare, con una sobrietà e un distacco davvero sorprendenti, i contorni di una riflessione troppo ampia per non esser rimessa all’alea di una sospensione. Lo spettatore, anche il più disincantato, è inesorabilmente convocato a rivalutare la posizione che occupa all’interno dell’economia dello scibile, per considerare l’opportunità di soggiornare altrove, in uno spazio liberato, dove tentare di riconfrontarsi con la questione del senso.
La cinepresa è ostinatamente fissa, è l’immagine ad emanciparsi all’interno del quadro, e gli austeri interni del convitto del santuario di Lourdes, frequentati da malati, reietti, vacanzieri, a stento si concedono all’occhio che osserva.
Christine (Sylvie Testud), inchiodata alla sedia a rotelle da una malattia incurabile, desidera una vita normale; nonostante non nutra troppe speranze, il miracolo accade. Dopo una notte foriera di sogni premonitori, si alza dal letto e, senza meravigliarsi troppo, ricomincia a camminare. Non è sostenuta da una solida fede, eppure, tra tutti quei questuanti, è la sola ad ottenere la grazia. L’effetto del miracolo, però, sembra non durare. Svanisce gratuitamente, così com’è giunto.
Jessica Hausner mette tutto in discussione, rinuncia a qualsiasi presa di posizione, combattuta tra speranza e nichilismo.
Uscendo dalla metafora del miracolo è pero necessario fare alcune precisazioni: la grazia è concessa a tutti ma non è accessibile a chiunque. L’unica fede possibile è quella in una verità che sia universalmente valida, che vinca la decadenza dell’opinione, che costituisca ciò per cui valga la pena rinunciare al perseguimento degli interessi. Questa è la verità che ci folgora, che non possiamo dimostrare, ma solo mostrare, perché intensamente animata dalla nostra fede. Fede non sostenuta da alcuna promessa di risarcimento, ma immediatamente ricompensata da un’intensità d’esistenza ineguagliabile.
Non c’è un’etica cattolica, né atea; c’è un’etica della verità, situata nel punto di rottura dove fede e conoscenza “miracolosamente” s’incontrano (repetita iuvant). Ed è la fedeltà alla verità, e non il caso, a regolare l’accesso alla grazia.
Luca Biscontini
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