Anche nelle feste qualche sorpresa arriva, e la Festa del Film di Roma schiude dentro Cinema d’Oggi un fiore dal nettare visivo e narrativo ipnotico, stupefacente (nella duplice accezione di inalatore di meraviglia e di attrazione irresistibile nel proprio mondo). Gust Van den Berghe è un giovane regista fiammingo (del 1985) dalla spiccata personalità autoriale. Sarei molto curiosa, dopo la visione di Lucifer, di scovare e guardare il suo film di diploma studentesco – adattamento da una pièce del fiammingo Felix Timmermans – che ha per protagonisti dei disabili mentali. Terza parte di un trittico composto da Little baby Jesus of Flandr (2010) e Blue Bird (2011), entrambi mostrati al Festival di Cannes sulla stessa rotta di ricerca di una CONOSCENZA che con Lucifer viene agganciata a quelle civiltà primordiali che, pur non sapendo, avevano in realtà raggiunto l’apice del conoscere.
Lucifero, un tempo l’angelo preferito da Dio, è stato cacciato e prende la strada dell’Inferno. Non è più un angelo, ma non è ancora un demone: è uno di noi. È il primo ad avere avuto la consapevolezza del Bene e del Male. È lui che ci ha trasmesso questa consapevolezza, lui il responsabile del peccato originale, della comparsa del libero arbitrio e della conoscenza tra gli uomini. Gust Van den Berghe ambienta il confronto tra il nostro precursore e l’umanità acerba e innocente a cui si accosta, in Messico, vicino al Parícutin, il più giovane vulcano del mondo. Lì il tempo si è fermato, un passato che resiste mentre attende di precipitare. Un luogo dove gli abitanti vivono in modo semplice, cercando con un sottile altoparlante rivolto al cielo di intercettare Dio, mentre costruiscono una specie di Chiesa-Torre di Babele nel tentativo di salire su, visto che qui sotto lui non si fa vivo. Nel villaggio che Lucifero attraversa vivono l’anziana Lupita e sua nipote Maria, esseri di una ingenuità tenera, dei lattanti, da abitanti dell’Eden. Lucifero incontra le due donne sul suo cammino e si rende subito conto che Emanuel, il fratello di Lupita, si finge affetto da paralisi per poter bere e giocare a carte, lasciando le due a badare alle capre. Intercettando un terreno fertile e da contaminare, Lucifero si finge miracoloso guaritore. Da quel momento la vita del villaggio e dei suoi abitanti non sarà più la stessa , e Maria e Lupita sperimenteranno più di altri il ‘dubbio’ della corruzione. Pur non riuscendo il futuro demonio a strappare le radici alla purezza fideistica del villaggio, la miccia della conoscenza è stata lasciata a fermentare…
Gust Van den Berghe cristallizza la narrazione dentro il Tondoscope, un formato visivo circolare che contiene-isola ciò che è vivo dal buco nero che lo contorna, rimarcando in questo modo la magica presenza della vita: “Per me il Paradiso racchiude l’Eden nel suo centro. C’è un rassicurante senso geometrico della perfezione nascosta in esso che crea una rappresentazione angusta e semplicistica in cui ogni via di salvezza potrebbe sconvolgere il mondo”. Già questa soluzione introduce tra noi e la realtà che osserviamo un filtro che enfatizza un al di là che la stessa Terra pare contenere. La fotografia ‘ascetica’, unita ad un sonoro così vivido ed esterno al cerchio vitale da cui emerge, dà all’esistenza che vediamo scorrere (grazie anche al naturalismo della gente del luogo presa a ‘recitare’) l’aura di miniature caleidoscopiche. Dei bassorilievi moderni dell’uomo e dell’esistenza che erano tanto tanto tempo fa… Una potenza visiva e narrativa subdola e penetrante ‘acceca’ questo film, come la discesa agli inferi dell’uomo che Sokurov nel suo Faust compie… Il rimando che più spesso Lucifer mi ha trasmesso. Un autore, Gust Van den Berghe, da non perdere di vista per niente al mondo.
Maria Cera