Contro il culto del genio, ovvero di colui che dovrebbe essere capace di creare un’opera unica e irripetibile, e prendendo alla lettera (pedissequamente?) la filosofia di Andy Warhol, Mark Kostabi – o la maschera di sé che egli stesso è riuscito a ritagliarsi – fa dell’arte un commercio come un altro, all’insegna del marketing, della provocazione di matrice pubblicitaria, in piena e dichiarata a-moralità, alla rincorsa sfrenata di una celebrità vista come antidoto alla più tragica solitudine.
Un autentico truffatore, attore cinico e brillante del palcoscenico del mercato globale, forse solo più sincero di tanti suoi colleghi, e certamente molto auto-consapevole del posto e del ruolo che l’arte oggi può occupare in un mondo regolato dall’economia. Una eclettica figura, che dopo gli esordi nella New York degli anni ’80 – quella di Basquiat e di Keith Haring – ha scelto una via industriale nella produzione di opere, limitandosi ad apporre la sua semplice firma a tele che uno “staff” personale di impiegati dipinge al posto suo.
Il documentario di Michael Sladek, supportato dalle sonorità frenetiche e ribelli curate da Dana Boulè, prende parte allo spirito ludico e al contempo da affarista affermato di Kostabi, raccontato attraverso gli interventi di numerose figure gravitanti intorno alla vita dello stesso artista, tra gli alti e i bassi d’una carriera giocata sempre sul filo dell’eccesso e della più allegra sfacciataggine.
Lo stesso artista-impresario, in tutto il suo carisma, un “buco nero d’ironia” ormai vinto dal suo stesso personaggio, una maschera che eccede quella persona “reale” oramai irrintracciabile, gioca abilmente sulla ambigua soglia del “ci sei o ci fai”, ben assecondato dallo sguardo della mdp che sembra limitarsi alla semplice registrazione.
Seguito tra gli Usa e l’Italia, luogo in cui si trasferì nel periodo di recessione del primi anni ’90 e terra in cui ora riesce a vender il maggior numero dei suoi lavori, titolare di un brand commerciale più che di un’anima artistica, Kostabi illustra lucidamente e con studiato orgoglio il suo metodo di lucida follia, tra la pop art e Salvador Dalì, tra le gallerie di Soho e l’ultimo suo successo, una statua di Giovanni Paolo II prodotta per il comune di Velletri ed inaugurata stringendo la mano niente di meno che al nuovo pontefice!
Salvatore Insana