Come sei stata coinvolta in questo progetto?
In 48 ore: ho fatto il provino di sabato e lunedì mi hanno chiamato per dirmi che mi avevano preso. Volevano che partissi il mercoledì seguente visto che tutta la troupe era già là. Ho avuto a disposizione solo quattro giorni per prepararmi e ovviamente per studiarmi tutto il copione.
Ma questa non è la tua opera prima, vero?
Il debutto c’è stato con “Figli” e io ero la fidanzata del protagonista, quella che lui manda a quel paese prima di partire con sua sorella. Però, era otto anni fa, nel frattempo sono cambiate tante cose e “Pa-ra-da” ritengo che sia comunque la prima cosa grossa che mi è capitata.
Come ti sei trovata a lavorare con i boskettari?
Mi sono buttata senza farmi troppe domande anche perché era un’esperienza troppo forte per essere pensata.
Quanto pensi possa averti aiutato l’aver frequentato l’Accademia di Arte Drammatica?
Grazie all’Accademia ho una conoscenza di me stessa, vedo i miei limiti e lavoro al mio bagaglio, la mia corazza.
Che idea ti sei fatta del cinema americano rispetto a quello italiano?
In America, ma più in generale a livello internazionale, si produce di più. Un mio amico produttore dice che la forza del cinema americano è nel fatto che la società americana usa il cinema come veicolo per poi esportare i propri prodotti e che questa cosa noi l’abbiamo fatta soltanto negli anni Sessanta con “La dolce vita” facendo diventare determinate cose dei veri status simbol, come la vespa piuttosto che i caffè all’aperto. Io penso che il cinema sia un modo per economizzare le cose, perché attraverso il cinema tu conosci i posti, conosci modi di vivere.
Vincenzo Patanè Garsia