Visioni Fuori Raccordo: “Socrates, uno di noi” di Mimmo Calopresti e Marco Mathieu
Presentato al Nuovo Cinema Aquila nel corso di Visioni Fuori Raccordo, “Socrates, uno di noi” pone in evidenza sin dal titolo la volontà di fare squadra, di far prevalere un genuino spirito collettivistico, che il fuoriclasse carioca riuscì a esprimere durante tutta la sua carriera
Nel 1982 il Corinthians di San Paolo vinse il campionato statale con la parola «Democracia» stampata sulle magliette. E nel novembre dello stesso anno la squadra era scesa in campo esibendo la scritta «Il 15 andate a votare», così da promuovere una più ampia partecipazione e quelle elezioni, che avrebbero segnato un primo passo verso la democratizzazione del Paese. Dietro queste spavalde iniziative, così insolite in un mondo spesso cinico e distaccato come quello del calcio professionista, vi era la forte impronta dialettica di un campione, il cui carisma non può essere certo circoscritto all’ambito sportivo: Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, ovvero Socrates o più semplicente “il dottore” o se volete “il tacco di Dio”.
In certe scelte coraggiose e nei soprannomi appena citati c’è appena uno spicchio di quella personalità complessa, sfaccettata, la cui profonda vocazione umanistica è avvertita ancora oggi con forza dai brasiliani, in particolare da quegli strati più popolari del tifo, che hanno reso unica nel suo genere la “torcida” del Corinthians di San Paolo. Lodevole, quindi, da parte del cineasta Mimmo Calopresti e del giornalista Marco Mathieu, il tentativo di condensare in un documentario di circa 40 minuti una parabola esistenziale così ricca e generosa, anche se la visione del film, a dirla tutta, può lasciare non del tutto soddisfatti proprio per il desiderio di vedere e saperne di più su un simile personaggio.
Presentato al Nuovo Cinema Aquila nel corso di Visioni Fuori Raccordo, Socrates, uno di noi pone in evidenza sin dal titolo la volontà di fare squadra, di far prevalere un genuino spirito collettivistico, che il fuoriclasse carioca riuscì a esprimere durante tutta la sua carriera; pur restando in parte incompreso nella breve parentesi italiana alla Fiorentina, qui ricordata attraverso una simpatica e gustosa chiacchierata degli autori con alcuni attempati tifosi viola, pescati tra i non molti nell’ambiente toscano che seppero entrare realmente in sintonia col carattere del giocatore. Quanto al documentario in sé, affiorano a tratti quei difetti che del buon Mimmo Calopresti ci fanno preferire, in genere, l’approccio alla fiction cinematografica: per esempio quell’esporre a volte troppo la sua persona, nel seguire un determinato percorso. Eppure, piccolo miracolo propiziato forse dal benefico influsso di Socrates, tanta è la passione del granata Calopresti e del co-autore Marco Mathieu nel raccontare le gesta sportive e non di un simile uomo, insieme all’affettuoso ricordo che ne conserva la parte più sana del popolo brasiliano, da far levitare ben presto il film verso orizzonti più alti.
Accade così che il materiale di repertorio si mescoli gioiosamente con le testimonianze registrate nel Brasile di oggi, a partire dagli incontri con altri personaggi a dir poco pittoreschi come l’ex compagno di squadra Biro Biro, o come il vecchio telecronista brasiliano suo amico disposto qui a sciorinare sapidi ed emblematici aneddoti, tra cui la lucidissima reazione del giocatore dopo l’importante rigore sbagliato ai mondiali del 1986. Escono fuori poco alla volta tutti gli aspetti di un uomo che seppe essere veramente protagonista del suo tempo. Il “compagno Socrates” che usò la sua popolarità per indebolire la dittatura e mandare segnali di riscossa al proprio paese. L’inventore della cosiddetta «Democrazia corinthiana», quasi una parafrasi del “centralismo democratico” di marxista memoria applicato alla gestione dello spogliatoio, sottratto così a quelle forme di autoritarismo da lui detestate, anche quando si trattava semplicemente di sport. Le giocate impareggiabili, che facevano venir giù lo stadio, nonostante Socrates si allenasse relativamente poco perché riteneva importante sapersi anche gustare la vita. Lo studio della medicina. L’aspetto fisico prestante e la conseguente passione delle donne nei suoi confronti, passione ricambiata con altrettanta generosità. E infine quel suo voler inseguire ogni potenzialità dell’essere umano che l’ha poi portato, quale rovescio della medaglia, a eccedere nel consumo di alcol (in particolare la birra), ammalarsi e scomparire prematuramente. C’è tutto questo e anche di più, in questo ritratto cinematografico che non riesce forse ad approfondire tutti i versanti (quello della passione musicale, tanto per dire), ma che restituisce comunque un’immagine meravigliosa del così amabile protagonista.