Daniele Vicari (Velocità massima e L’orizzonte degli eventi) è tornato nelle sale. Questa volta con un documentario. Ed ancora una volta è l’economia il motore della sua ricerca. Una ricerca che il regista ha intrapreso diversi anni fa e che oggi lo ha portato a ripercorrere i passi di Cesare Zavattini, il quale, negli anni Cinquanta aveva in mente un lavoro omonimo. Una ricerca che non è il solo ad avere intrapreso e che prende il la proprio da un documentario economico commissionato dall’Eni di Mattei a Joris Ivens.
Il regista ha lavorato due anni, girando dalla Sicilia al Veneto, portando alla luce un affresco toccante di un paese che vive in bilico tra un passato mai morto ed un futuro che non riesce bene a focalizzare. Il regista parte da un impegno politico per passare attraverso quello antropologico e sociologico ed arrivare a porre domande importanti sullo stato di un paese, delle sue aspettative e delle enormi potenzialità che esprime. Mai retorico e sempre teso alla ricerca di una linea rossa tra passato, presente e futuro, il documentario, pur non essendo didascalico, comunica con chiarezza una sorta di nuovo corso da cercare, una nuova via da intraprendere.
Dall’estrema povertà e disorganizzazione del sud, alla maestosa grandezza dei cantieri del nord, Vicari trova la chiave di lettura universale di un’economia che sta cambiano, di una mentalità che fa fatica a cambiare e di un paese che lavora tutti i giorni e produce. E ancora una volta ci propone un esempio di delicatezza registica legata ad una struttura aperta che fa di questo documentario, nonostante la mole di materiale visivo, un piccolo capolavoro.
Fabio Sajeva