Senza ombra di dubbio, si tratta di uno dei lungometraggi più noti appartenenti all’infame filone che qualcuno ha definito “nazi-porno”, costituito, in realtà, da lavori tutt’altro che manifestanti espliciti dettagli hard di accoppiamenti sessuali ma che, sviluppatosi sulla scia di successi del calibro de Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini e Salon Kitty (1976) di Tinto Brass, riservava soprattutto, invece, immagini di estrema violenza; anche per imitare gli illustri predecessori d’oltreoceano Camp 7: lager femminile (1969) di Lee Frost e Ilsa la belva delle SS (1975) di Don Edmonds.
Con un titolo che tenta probabilmente di richiamare alla memoria La bestia (1975) di Walerian Borowczyk, La bestia in calore (1977) rappresenta la seconda escursione effettuata dal sardo Luigi Batzella (che qui si firma, però, Ivan Kathansky) all’interno del genere, subito dopo il quasi contemporaneo Kaput lager-Gli ultimi giorni delle SS (1977).
L’azione si svolge nel Piemonte della Seconda Guerra Mondiale, dove un gruppo di partigiani combatte rifugiato in un convento non distante da una roccaforte nazista al cui interno la perversa dottoressa Ellen Kratsch, ovvero la Macha Magall di Casa privata per le SS (1977) di Bruno Mattei, conduce folli esperimenti genetici finalizzati alla creazione di una razza superiore da inviare contro il nemico facendo accoppiare ripetutamente donne sane con un pericoloso individuo dai connotati primitivi tenuto costantemente in gabbia.
Individuo cui concede anima e corpo – sotto pseudonimo Sal Boris – il grottesco Sal(vatore) Baccaro che, già presente anche nelle citate pellicole di Brass e Mattei e visto in un’infinità di b-movie nostrani, da Le notti peccaminose di Pietro l’aretino (1972) a Uno contro l’altro, praticamente amici (1981), troviamo qui impegnato a stuprare povere sventurate cui arriva addirittura a strappare peli pubici nel corso di uno dei momenti più disgustosi dell’insieme.
Perché, tra unghie strappate, evirazioni e vittime femminili con addosso ratti affamati, non sono certo assenti torture vaginali nel campionario di efferatezze che, paradossalmente, al di là del primo, insostenibile impatto, si rivelano talmente esagerate da apparire ridicole, anche a causa della mediocre fattura degli effetti speciali.
Del resto, già l’idea di affidare ad un caratterista dalle fattezze non poco comiche (Tomas Milian racconta che scoppiava a ridere e non riusciva a recitare quando se lo trovava davanti sul set di Squadra antigangsters) il ruolo del mostro non ha potuto fare altro che consegnare la pellicola all’olimpo delle assurde bizzarrìe su celluloide sfornate dal cinema bis nostrano del passato.
Quindi, dalla recitazione pessima alle immagini belliche di repertorio alternate a quelle girate appositamente per il film, passando per l’ombra della troupe visibilissima in un preciso istante dei circa ottantaquattro minuti totali, tutti quelli che la critica ordinaria definirebbe difetti non provvedono altro che a far accrescere il livello trash dell’operazione.
E, se si pensa anche che, a causa della sua grottesca messa in scena, la sequenza in cui un soldato lancia in aria un neonato per poi sparargli strappa risate anziché raccapriccio, è facile giungere alla conclusione che ci troviamo dinanzi ad un tipico esempio di Settima arte (se così possiamo definirla in questo caso) brutta ma divertente.
Con il colpo di grazia nel finale dagli evidenti intenti strappalacrime e messaggio di pace annesso, tanto fuori luogo che si arriva involontariamente ad accettarlo pur di assecondare il delirio totale.
Minerva pictures lo riscopre su supporto dvd con gustoso trailer dell’epoca quale contenuto extra.
Francesco Lomuscio