Anno: 2014
Durata: 101′
Genere: Commedia drammatica
Nazionalità: Svezia
Regia: Roy Andersson
39 piani sequenza per raccontare l’insensatezza dell’esistenza dell’essere umano: A Pigeon Sat On a Branch Reflecting on Existence (En Duva Satt På En Gren Och Funderade På Tillvaron) del sardonico Roy Andersson chiude il trittico sulla condizione umana formato da Songs from the Second Floor (Sånger från andra våningen, 2000) e You, the Living (Du Levande, 2007).
Il titolo strampalato riferito all’altrettanto estroso punto d’osservazione privilegiato, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, si ispira al fiammingo Bruegel e al suo “sguardo a volto d’uccello”. Ne viene fuori un ritratto umano goffo, vile, a tratti vizioso e sicuramente privo di idealizzazione. L’incomunicabilità tra gli uomini e dell’uomo, l’insensatezza della quotidianità e dei gesti, la smania di divertirsi e l’incapacità di farlo sono le tematiche che esploriamo grazie alla coppia Sam e Jonathan, due venditori di allegria piuttosto tristi. “Denti da vampiro con canini lunghi o extra lunghi, il sacchetto che ride e mette la gente di buonumore, il nostro grande classico, e infine la maschera da zio con dente solitario” sono i prodotti per far divertire offerti dalla bislacca e inseparabile coppia, talvolta anche a metà prezzo considerata la crisi. Una crisi diffusa e avviluppante, esistenziale più che economica, che incancrenisce l’uomo fino a renderlo gretto, grottesco, meschino, cinico, in breve terribilmente e rovinosamente comico.
I quadri immobili, quasi pittorici e non cinetici, offrono uno scorcio disperato della contemporaneità. Come guidati da dei Gogo e Didi dei giorni nostri, A Pigeon Sat On a Branch Reflecting on Existence ci conduce laddove la morte porta con sé l’ultimo alito di vita, in una scuola di flamenco, nella taverna di Lotte la Zoppa, in un luogo e tempo imprecisati dove un gruppo di anziani coloniali osservano immobili degli indigeni bruciare in uno strano marchingegno, in un laboratorio dove una scimmia è sottoposta a un esperimento imprecisato e probabilmente privo di senso.
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Il nonsense avvolge non solo la sorte del povero animale bensì l’intera opera dell’autore svedese, la cui fedele aderenza semantica al reale è innegabile. Nell’immaginario di un regista dedito per la maggior parte della sua carriera alla realizzazione di spot pubblicitari e documentari e finalmente consacrato alla gloria cannense nel 2000, è previsto anche l’arrivo di Re Carlo XII di Svezia, finalmente di ritorno in patria a distanza di un paio di secoli per ordinare una birra al pub.
In questa carrellata di (non) esistenze, di spettri ‘in carne ed ossa’ e di fantasmi che ancora non sanno di esserlo, ecco affiorare la vita, fatta di lotte contro i mulini a vento, di miseria e vitalità quotidiane, di desideri afferrati e altri perduti. Andersson ha dichiarato di essersi ispirato a tre classici della letteratura per realizzare questo film sulla “tensione tra il banale e l’essenziale, tra il comico e il tragico”: Don Chisciotte di Cervantes, Uomini e Topi di John Steinbeck e Delitto e Castigo di Dostoevskij.
A Pigeon Sat On a Branch Reflecting on Existence è di certo una delle visioni più fantasiose di Venezia 71., un ritratto in semi-movimento che cerca di guardare, dall’alto del volo di un piccione, all’assurdità dell’uomo post-moderno.
Francesca Vantaggiato