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Taxidrivers Magazine

La fantascienza Sinister, tra uomini pesce, scorpioni giganti e robot proto-Frankenstein

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Scomparso nel 1995, il giapponese Hajime Satô rientra tra quei cineasti appartenenti alla celluloide di genere che non hanno goduto di una filmografia particolarmente ricca, ma al cui interno, in mezzo ai pochi titoli presenti, è possibile scovare più di una chicca o scult capace di conquistare il cuore degli appassionati del filone.

Non a caso, è a lui che si devono, tra gli altri, Distruggete DC59, da base spaziale a Hong Kong (1968), i_mostri_della_città_sommersal’horror Il pozzo di Satana (1965), Il ritorno di Diavolik (1966) – lungometraggio live action derivato dal cartoon Fantaman – e il tanto rozzo quanto divertente I mostri della città sommersa (1966), che Sinister Film rende disponibile su supporto dvd italiano con trailer originale e presentazione di Luigi Cozzi nella sezione riservata ai contenuti speciali.

Nel chiaro tentativo di rivisitare in chiave nipponica quanto raccontato nel classico Universal Il mostro della laguna nera (1954), i circa ottanta minuti di visione partono dall’immersione subacquea nel corso di cui i giovani fotografi Ken e Jeannie – ovvero il Sonny Chiba poi visto nel dittico tarantiniano Kill Bill (2003-2004) e la Peggy Neal del kaiju eiga Odissea sulla Terra (1967) – finiscono catturati da strani esseri anfibi antromorfi ricoperti di squame e creati da uno scienziato che, lavorando da un laboratorio situato in fondo al mare, intende utilizzarli per minacciare i potenti del mondo.

Ovviamente, i due ragazzi, come anche altri sventurati, rischiano di trasformarsi nelle cavie di nuovi esperimenti, man mano che la Marina tenta di intervenire e che i grotteschi uomini pesce, agli occhi dello spettatore, non presentano altro che i connotati di individui inseriti in evidenti tute (!!!).

Del resto, il tocco esilarante del tutto viene regalato proprio da questo aspetto trash; tutt’altro che avvertibile, lo_scorpione_neroinvece, in un’altra fanta-prelibatezza digitale targata Sinister, ma stavolta in bianco e nero: Lo scorpione nero (1957) di Edward Ludwig, che, scritto dall’ex impiegato David Duncan – sceneggiatore, tra l’altro, de L’uomo che visse nel futuro (1960) e Viaggio allucinante (1966) – insieme a Robert Bless, ricalca, in un certo senso, quanto raccontato da Gordon Douglas nel suo Assalto alla Terra (1954).

Infatti, mentre lì avevamo formiche dalle dimensioni di dinosauro, qui un gigantesco scorpione si aggira seminando morte e terrore nelle campagne messicane, dove, approdati per studiare l’eruzione di un vulcano, due geologi s’imbattono in un altro esemplare che, trovato casualmente sotto una pietra, scoprono appartenere ad una specie vissuta in età preistorica.

Ed è dopo circa trenta minuti di attesa che i mostruosi, bavosi insetti dal pungiglione sulla coda realizzati in stop motion dal mitico Willis O’Brien che si occupò degli effetti speciali di King Kong (1933) entrano distruttivamente in scena; regalando al pubblico la sana dose di intrattenimento sia nel combattere tra di loro che nel seminare catastrofe (con tanto di treno che deraglia).

Negli extra la sola presentazione del già citato Cozzi; Il_colosso_di_New_Yorkche affianca, invece, il trailer originale in quelli del disco di un’altra preziosa riscoperta sinisteriana in bianco e nero: Il colosso di New York (1958) girato in economia da Eugène Lourié, scenografo dalla lunga carriera (Luci della ribalta di Charles Chaplin e Il corridoio della paura di Samuel Fuller nel curriculum), ma anche autore dei film di mostri Il risveglio del dinosauro (1953), Il drago degli abissi (1959) e Gorgo (1961).

In questo caso, però, sembrano essere il romanzo Il cervello di Donovan di Curt Siodmak e il mito di Frankenstein a rappresentare le fonti di ispirazione per la vicenda di uno scienziato di fama mondiale che, disperato a causa della morte del figlio, decide di trapiantarne il cervello in un enorme robot.

Enorme robot che ricorda, pensa, lavora e, appunto, appare quasi come una fusione tra i gelidi ed essenziali automi proposti durante l’Espressionismo tedesco e la creatura che diede notorietà cinematografica a Boris Karloff.

Fino al momento in cui, stretta nel frattempo amicizia con un bambino ma presa coscienza della sua nuova condizione, impazzisce scatenando una pericolosa furia che concretizza in letali raggi sprigionati dagli occhi.

Perché, senza un’anima, non siamo altro che mostruosità!

Francesco Lomuscio

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