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Taxidrivers Magazine

Un’attesa lunga settant’anni

Analisi politica del cinema. Rubrica a cura di Pasquale D’Aiello

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La storia che sto per raccontare inizia tanti anni fa, precisamente il 19 luglio 1943. L’Italia era in guerra già da  tre anni, gli americani erano sbarcati in Sicilia da nove giorni e mancavano sei giorni alla caduta del fascismo, ma questo ancora nessuno lo sapeva. I cittadini romani, pur tra tante privazioni e lutti per i soldati morti, continuavano la loro vita, o almeno ci provavano. Ed anche in una zona popolare come quello di San Lorenzo c’era gente che andava al cinema. Il cinema di quartiere si trovava in piazza dei Sanniti, era un cinema speciale, d’estate il tetto s’apriva e si potevano guardare i film sotto la volta delle stelle.

Quel giorno, alle 3 del pomeriggio davano Amore imperiale di Alexander Volkov. Il film era stato girato a guerra già iniziata, nel 1941, e racconta della storia d’amore tra la principessa russa Elisabetta e un giovane pastore. Trattandosi anche di una commedia degli equivoci, l’amore del giovane pastore inizia nell’inconsapevolezza del rango nobiliare della sua amata. Una volta scoperta la verità egli non trova nessuna alternativa rispetto alla scelta di entrare nella guardia imperiale per continuare a starle vicino. Sebbene l’ambizione di essere riamato era svanita, il giovane pecoraio trova nell’arruolamento militare un’immediata opportunità di riscatto sociale che lo eleva nel rango e nei modi che divengono raffinati e suadenti. Assegnato alla vigilanza della principessa, sventa un tentativo di destituzione ad opera di una malvagia fazione interna del potere. A seguito del valore dimostrato riuscirà infine a sposare la principessa che amava il popolo e i modi semplici ed onesti. Si tratta di un film chiaramente di propaganda che contiene tutti gli elementi della narrazione fascista: la scissione del potere tra vertici onesti e burocrati corrotti,  predilezione dei valori semplici del popolo contro le sofisticazioni della borghesia, delineazione di un ruolo più attivo delle donne (chiamate a sostituire nella vita sociale gli uomini inviati in guerra) e soprattutto l’esaltazione della guerra attraverso l’erotizzazione. È, infatti, attraverso la divisa militare che il povero pastorello naif diviene uomo di valore e degno di amare una donna bella, ricca e seducente. Un’inquadratura obliqua e di spalle della principessa la riprende nuda nella parte superiore e fa scorgere uno spicchio del seno che, per quell’epoca, era frontiera ardita. Il 1941 è, infatti, l’anno in cui per la prima volta nel cinema italiano sonoro compaiono scene  a seno nudo, con Clara Calamai e Doris Duranti che si contendono il primato, in due film di Alessandro Blasetti.

In Amore imperiale, oltre alla descrizione della principessa come donna indipendente e intraprendente, assistiamo anche all’utilizzo di stilemi erotici, che saranno ripresi nella commedia sexy italiana, sebbene con la ovvia moderazione che l’epoca richiedeva. Un uso così chiaro di scene  sensuali è l’evidente tentativo di erotizzare e rendere attrattiva la guerra che il suo carico di morte rende di per sé respingente. Il cinema coglie perfettamente che il corpo femminile e il suo uso seduttivo ha il potere di contribuire alla ricollocazione emotiva della guerra nell’immaginario popolare, almeno fino a che la guerra non verrà drammaticamente portata in casa. Ed è esattamente quello che sta per accadere quel giorno. È lunedì mattina e alcune ragazze, signore e ad altri abitanti del quartiere hanno in progetto di andare dopo pranzo al cinema a guardare questa commedia sentimentale che danno al cinema Palazzo alle 15. Ma nessuno ci riuscirà. Quel giorno, a cominciare dalle 11.03 e fino alle 12.10, il quartiere di San Lorenzo ed altri limitrofi verranno pesantemente bombardati dalle truppe alleate, provocando migliaia di morti e una vasta distruzione che avrà pesanti ripercussioni sulla vita del Fascismo e dell’Italia.

Amore imperiale

A distanza di settantun anni, il 19 luglio 2014, alle ore 15 al cinema Palazzo quel film è stato, infine, proiettato. Quella sala non ha più il tetto apribile e dopo essere stata una sala da biliardo e una sala da gioco (fallita), è stata occupata da associazioni di cittadini del quartiere che le hanno restituito una funzione culturale e sociale. Nella calura romana alcune decine di spettatori si  sono recati in questo cinema a vedere il film, recuperato anche grazie all’ausilio della Cineteca nazionale. Oggi questo film così datato e semiscomparso apparirebbe probabilmente talmente futile che forse non riuscirebbe a catturare neppure la visione notturna di qualche cinefilo in giro per canali televisivi di terza serie. Certo ha perso quasi del tutto il suo potere di fascinazione sull’immaginario collettivo che ormai si nutre di stilemi più complessi e ben più audaci. Ma una visione storicamente ricontestualizzata (con introduzione e dibattito finale) ha permesso al pubblico convenuto di decostruire e riconoscere gli elementi costituenti del film che, pur nella sua apparente estrema semplicità, contiene elementi di innovazione e anticipazione rispetto alla sua epoca. Al di là del valore culturale, questa proiezione è stata soprattutto un atto di resistenza contro la guerra, fatta attraverso il cinema ed un film a cui il trascorrere del tempo ha mutato significato e funzione. E che dopo questa proiezione è divenuto un simbolo della forza e della caparbietà della gente di San Lorenzo e di Roma.

Mentre scrivo queste righe, sull’altra sponda del Mediterraneo un’altra città sta conoscendo la devastazione dei bombardamenti, è la città di Gaza. E se la guerra tra Israele e la striscia di Gaza si risolvesse con i soli bombardamenti non ci sarebbe alcuna operazione culturale che gli israeliani dovrebbero compiere per convincere i propri piloti a bombardare le case palestinesi. Ma Israele ha ravvisato la necessità di un’invasione di terra che provoca una manciata di morti israeliani ogni giorno. Solo una manciata ma, comunque, troppi per una nazione occidentale e progredita i cui cittadini non accettano di morire così facilmente. Ed ecco che a sostegno dei militari israeliani è nata una pagina di Facebook in cui giovani e (com)piacenti donne si propongono in audaci pose erotiche, mostrando frasi di incitazione alla guerra dipinte sui loro corpi nudi. Dunque non è cambiato molto, da che esiste la guerra si continua a morire sempre con troppa riluttanza e  il sistema sa che l’eros ha ancora il potere di sfidare la morte.

Pasquale D’Aiello

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