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E’ tempo di esami: gli “Immaturi” di Paolo Genovese, la maturità di oggi e quella dei nostri sogni ricorrenti

“Ogni vita merita un film”. Rubrica a cura di Margherita Fratantonio

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Immaturi

Stamattina, la prova scritta di italiano agli esami di Stato. Come presidente di commissione mi trovo in attesa del plico telematico (non c’è più il taglio della busta con le forbici!). Appena arriva, qualcuno esclama: “E’ uscito Quasimodo”. “Sapete chi è?”, chiedo ai due ragazzi chiamati come testimoni del rito. La femmina risponde: “So solo che era molto brutto” e il maschio: “No, dai, era un ermetista”. Non gli spiego che si dice ermetico, né che c’è un altro Quasimodo oltre al gobbo di Notre Dambe della Disney. Ci siamo appena incontrati: meglio non pensino ad una brutta figura che possa pesare sul dopo. Dobbiamo ancora cominciare, ma mi chiedo: “Chissà come ricorderanno loro la loro maturità tra vent’anni!”

Perché per molti di noi è rimasto un conto ancora aperto con il passato, almeno nella nostra vita notturna. Ce lo ha spiegato, ieri, Massimo Recalcati, in un suo intervento su Repubblica, citando Lacan: “Ogni qualvolta il soggetto è chiamato a rispondere con la propria parola a un appello simbolico dell’Altro — accade anche con la chiamata alle armi, con un matrimonio, con il parto, con una nomina professionalmente rilevante — c’è sempre il rischio di cadere, di frantumarsi come avviene nel caso delle scompensazioni psicotiche”.

Si spiega così  l’insistenza, la prepotenza, con cui quel benedetto esame si ripresenta nei nostri sogni, perché se è vero che non ci siamo spezzati, è altrettanto vero che il rischio lo abbiamo sfiorato un po’ tutti, per l’ineludibilità dell’evento, nel quale siamo soli e i soli responsabili: “La prova non consiste nel parlare di fronte ad una commissione, ma nel fare esperienza che nessuno può sostituirci, che, nel momento in cui ci assumiamo la responsabilità della parola, nessuno potrà prendere il nostro posto”.

immaturi

Paolo Genovese ci ha raccontato, invece, con la sua leggerezza, l’incubo dell’esame che torna. riportando sullo schermo i figli del grande freddo o della meglio gioventù, dipende dai punti di vista, nel suo film Immaturi (2011).  E ce li ha riportati insieme alle sfiancanti strategie per differire l’appuntamento con l’età adulta, con l’incapacità di separarsi dai genitori, di convivere, sposarsi, diventare genitori a loro volta. E le hanno studiate proprio tutte! Al punto di  inventarsi (uno di loro) moglie e figlio piccolo allo scopo di arginare gli entusiasmi della fidanzata, fino ad imbottire la macchina di giochi, sonagli e seggiolino, e sbriciolare biscotti sul sedile per dare realtà ad una menzogna, che,  se scoperta, sarebbe a dir poco disdicevole.

Ma i toni di questa commedia restano sempre garbatamente smorzati. Persino la comunicazione del Ministero che dichiara nulla la maturità di vent’anni prima è resa senza tragedia. Ora, immaginiamo succedesse a noi, oggi, alla nostra età, di doverci ripresentare  all’esame; che il nostro incubo notturno diventi reale: no, non riusciamo neanche a immaginarlo, perchè c’è un limite anche agli esami che non finiscono mai, anche alle fantasie catastrofiche.  I quasi quarantenni di Paolo Genovese invece, appena realizzano la situazione, che di colpo annullerebbe lauree e carriere affermate,  urlano una volta sola, e poi si ritrovano là dove si erano lasciati, a fare una “zingarata” come le burle di Amici miei. E come se il loro incontro fosse in qualche modo inevitabile.

Lo è di fatti, perché l’appuntamento è stato davvero solo rimandato. Bisogna che ognuno, nella propria storia personale, recuperi le energie, imbrigliate là ed allora,  che non sono disponibili qui e ora; bisogna ripetere un rito, quello della maturità, che non ha maturato proprio nessuno e va ripercorso, con quel po’ di esperienza che nei vent’anni trascorsi si è inconsapevolmente conquistata.

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Ed è bene che questi adolescenti fuori tempo lo facciano subito, perchè se aspettassero ancora rischierebbero di diventare patetici, come i cinquantenni di Sergio Castellitto ne La Bellezza del somaro; prima della pancia, della definitiva calvizie, dei rimpianti, e dei fallimenti, prima che le nevrosi si sclerotizzino. Quindi lasciamoli tornare alla loro goliardia, alla loro nostalgia, ai ricordi di Heidi e di Furia cavallo dell’West, e soprattutto, lasciamoli tornare a scuola,  luogo privilegiato di ricordo per ciascuno di noi.

“Un pezzetto dell’anima di ciascuno è rimasto intrappolato in quella scuola, a espiare una condanna a vita senza sconti di pena”: dice Hillman nel suo splendido saggio La forza del carattere, e aggiunge: “Un recente sondaggio ha rivelato che negli Stati Uniti un terzo degli adulti maschi e un quarto di tutte le donne adulte sceglierebbero di rimanere permanentemente nella fascia d’età tra i quindici e i diciannove anni: una condanna all’ergastolo scolastico”.

E’ invece una prigione dalla quale si esce, non ricordo chi l’ha detto, per buona condotta, una dolce detenzione verso la quale la memoria si ostina a  tornare, nonostante la scuola, tutte le scuole siano state così avare nel darci le dritte che ci sarebbero poi servite nella vita.

Quella di Lorenzo (nel film Ricky Memphis) forse dimostra più delle altre la distanza tra le capacità esistenziali e quelle scolastiche. Diplomato con il massimo dei voti, è ora il più immaturo  fra gli immaturi. Lo vediamo tra i genitori, in una posa simmetrica a quella della locandina di Tangui, simbolo di tutti i bamboccioni internazionali. Di Tangui ha lo stesso sorriso, la stessa beatitudine e la stessa determinazione a non lasciare mamma e papà.

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Giorgio, psichiatra infantile (Roul Bova) è in crisi nera alla notizia che sta per diventare padre (altro passaggio esistenziale pericoloso, e non lo dice solo Lacan). Piero (Luca Bizzarri) continua i suoi tentativi maldestri di intiepidire la fidanzata e intanto inizia a chattare con una ragazzina, imitandone il linguaggio e i sogni. Virgilio (Paolo Kessisoglu) è un po’ il guastafeste di vent’anni prima che ora sta cercando di rimediare, prendendosi anche un pugno tardivo per le malefatte di allora.

Forse le donne del gruppo sono un po’ meno immature. Francesca (Ambra Angiolini) cerca a suo modo di fare i conti con un sintomo pesante: la compulsione erotica dalla quale vuole assolutamente guarire (spassose le sedute di auto-aiuto!); Luisa (Barbora Bobulova) ricorda Le donne indispensabili, ma esauste, dal libro di Stern Ellen Sue; ma, se pure affannatissima e con metodi educativi discutibili, riesce a conciliare gli impegni del lavoro e quelli di madre sola.

Ciascuno di loro, nell’incontro con gli amici del passato, e nel gradevole rispecchiamento, scioglierà i  nodi nei quali si sta avvolgendo; ognuno di loro crescerà, in questa avventura di formazione, anche se fa un po’ ridere parlare di formazione a quarant’anni.

La storia si è vista volentieri al cinema e rivista in televisione (però il seguito di Immaturi no, anche la leggerezza quando esagera, stanca!).  Forse perché ha evitato lo stereotipo dei film sulla scuola e sul suo significato simbolico. O forse perché le insicurezze dei protagonisti non appartengono solo ai quarantenni, ma sono tipiche di tutti i passaggi. Il regista ha detto di voler raccontare “il senso di inadeguatezza che molte persone sentono in questa fase della vita” e nella colonna sonora  Alex Britti canta: “Noi cerchiamo una risposta, ma poi quando la troviamo scappiamo via”.

Non è che ci tocca dar ragione al dottor House? Che alla dichiarazione “Gli uomini dovrebbero crescere”, risponde con una delle sue battute: “Certo, e i cani dovrebbero smettere di leccarsi. Non accadrà mai!”

Ultima riflessione: nel sito del Ministero è tornata la parola maturità, che negli ultimi sedici anni era stata completamente censurata. Guai a pronunciarla in ambiti formali: si chiamavano Esami di Stato e basta. Cosa significa che l’istituzione l’abbia, con nonchalanche, introdotta ancora?

Margherita Fratantonio

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