Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente è soprattutto un’opera contro la guerra. Una storia da amare e godere in semplicità fin dal primo istante, un film che in realtà è estremamente comico, non si sorride solo, si ride davvero.
Un film particolare che racchiude in sé la grazia e l’armonia di un’opera originale e unica. Titolo originale: When Pigs Have Wings o in francese: Le Cochon de Gaza.
Ogni fotogramma è trattato in maniera raffinata, in evidente contrasto con l’ambiente degradato in cui si svolge la storia. Siamo in Palestina e si parte da una situazione nella quale la protagonista principale è la povertà, con tutto ciò che ne consegue. La povertà che però non diviene dramma, ma è piuttosto vista come un’ineluttabile stato del vivere. La casupola, modesta ma pulita, è il luogo dove la coppia di attempati protagonisti vive con semplice dignità il quotidiano, fatto soprattutto di privazioni. Ma ecco che scopriamo che sopra la loro casa, proprio sul tetto, stazionano i soldati israeliani e che, come in una storia di ordinaria follia, si può convivere con una milizia spesso gentile, ma col mitra a tracolla. Il contesto è quello di Gaza, anche se inizialmente sembra di essere nelle commedie napoletane di De Filippo. C’è una compatta, amara e tragica umanità ma anche qui il gioco della comicità e dell’ironia, vince sulla tragedia.
Un’intelligente e geniale regia crea un continuo cambio di registro e si passa da una situazione da neorealismo a situazioni paradossali e divertenti, inimmaginabili in un film che si confronta con il tema della guerra arabo/ebraica. Un film che ha la grazia de La vita è belladi Benigni senza però concludersi con un dramma. L’eleganza è nel linguaggio, nella raffinatezza di pensieri e sentimenti che vengono messi in opera in questa bellissima opera scritta e diretta da Sylvain Estibal. Il regista, nato in Uruguay nel 1967, è un giornalista e scrittore francese, e afferma: “Questo maialino è la mia colomba della pace!”.
Il protagonista è un uomo buono, un povero cristo che non sa come sbarcare il lunario e s’inventa di tutto, anche quando pesca miracolosamente un enorme maiale scuro che la sua bontà non gli consente di uccidere. La corporea e simpatica figura protagonista di questo animale odiato dai musulmani e dagli ebrei mette a nudo i rispettivi integralismi. Il suino, che nessuno vuole affrontare, diviene simbolo di una reale situazione politica e sociale che viene vissuta in quei territori. Sin dai primi fotogrammi il film si snoda in un mondo che, fatti salvi i protagonisti, è fatto di personaggi logotipi: il mullah integralista, il tedesco aggressivo, l’amico barbiere intrallazzatore, il giovane provocatore e aggressivo, il bambino orfano, i soldati stanchi della guerra, fino all’istigatore fanatico di attentati. Ma essi non dominano la scena, che è invece puntata sulla serenità dei personaggi principali: il semplice pescatore, la moglie paziente e devota che ama il suo uomo, la giovane russa ebrea che, al di là della rete e del muro che divide i due popoli, vuole allevare maiali, come usa nel suo paese e per questo comincia col nostro protagonista palestinese uno strano commercio. La bellezza vince sul degrado, l’armonia sulla morte, la bontà sull’ottusità della guerra. Un hortus conclusus racchiude il mondo che il regista vuole rappresentare, sempre in bilico tra ironia e dramma.
Una storia da amare e godere in semplicità fin dal primo istante, un film che in realtà è estremamente comico, non si sorride solo, si ride davvero. Nessuno ha bisogno di morire in questo film che, pur essendo grado di raccontare il vero, lo racconta con quel taglio positivo che è difficile e raro trovare in una pellicola di guerra. Il protagonista Jafaar è sempre nella parte e la sua grazia gentile, la sua pazienza, il tenero sentimento verso sua moglie e le persone che gli sono accanto, lo identifica come una persona buona, un classico giusto tra le nazioni. I personaggi negativi non sono mai eccessivamente in luce, ma se ne mette in evidenza la pochezza e la mancanza di autoironia. In questo film, un’intelligente coproduzione di Francia, Germania, Belgio del 2011, non c’è bisogno di pruderie o di scene al di sopra delle righe, tutto si snoda con grande semplicità in una situazione ipotetica e poetica, ma in alcuni aspetti possibile.Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Orienteè soprattutto un’opera contro la guerra.
Tra gli attori principali spicca Sasson Gabai, israeliano di origini irachene, che interpreta il pescatore palestinese Jafaar, Baya Belal, la moglie Fatima, Myriam Tekaïa, collaboratrice artistica di Estibal di origini tunisine, che è Yelena, l’allevatrice di maiali e naturalmente Charlotte, e Babe due femmine di maiale, che si dividono il trono di stelle. Il protagonista interpreta con grande stile questo ruolo nel quale è il classico antieroe, che diviene, suo malgrado, più eroico di tutti. Da non perdere.