
Sonia Bergamasco e Giovanni Berardi
Il primo impatto, al suo cospetto, è proprio sublime, deciso, esplicito. Che splendida signora è Sonia Bergamasco. Vederla recitare poi è un sogno assoluto, divino. Diafana, dinoccolata, in un viso che è sorprendentemente bellissimo e che affascina, esprime, commuove, ammalia, rivela, intristisce, reagisce. E tutto al contempo. Un viso che è, insieme, intenso e ridente fino al tormento. Siamo certamente vicini ai confini con l’estasi. Noi lo dobbiamo dire: mai abbiamo speso, in questa rubrica, parole così eloquenti nel sottolineare quella che è la bellezza del corpo, lo possiamo solo quando questa si esprime così prepotentemente anche nei termini precisi della interiorità, della incoscienza. E guardare Sonia Bergamasco semplicemente rapiti è il rischio minore che lo spettatore, arrestato in platea, può correre.
Dice Sonia Bergamasco: “mai avuto frequentazioni di teatro o di sale cinematografiche prima della scelta di fare l’attrice. Solo concerti, sempre concerti. Studio musicale e concerti”. Sonia Bergamasco oggi significa, noi diciamo anche “innanzitutto”, Carmelo Bene. E pensiamo, nell’accostamento, di fare a Sonia, assolutamente, un lucido complimento. Dice Sonia Bergamasco: “ho avuto la fortuna di incontrare Carmelo Bene, di studiare con lui, dopo aver fatto già un percorso teatrale piuttosto lungo. Dopo avere acquisito una certa e solida esperienza tecnica di base. E con un diploma in pianoforte conseguito al Conservatorio. L’esperienza del Conservatorio poi é stata certamente quella che io chiamo l’anello di congiunzione per l’incontro con Carmelo Bene. Perché per lui la conoscenza del linguaggio musicale era davvero una fondamenta, la sentiva esattamente come un vantaggio su tutto, una possibilità in più per la necessità reale di un attore, quella di essere in musica. Carmelo Bene, pur non sapendo assolutamente leggere la musica, era assolutamente una creatura musicale”.

Spendiamo poche parole, ora in questo contesto lo riteniamo anche necessario, in direzione del cinema di Carmelo Bene, dove nonostante la nostra giovanissima età nel periodo che poteva indirizzare al contrario, invece il cinema particolare di Bene lo abbiamo proprio accettato, anzi vissuto, esattamente come perfetto, sublime. Quasi come una decisa imposizione dettata dalla intelligenza, Nostra Signora dei turchi, 1968, poi di questa pellicola abbiamo amato molto anche il testo da cui è tratto, il romanzo che Carmelo Bene aveva pubblicato quasi in contemporanea. Quindi, seduti in platea, abbiamo ammirato, uno dopo l’altro, Salomé, 1969, Don Giovanni, 1970, Un Amleto di meno, 1972. Anzi, in questo contesto vogliamo andare anche oltre, cioè attraverso quello che é un aneddoto personale, ma attinente assolutamente all’arte precisa di Sonia Bergamasco. La sequenza, proprio in ordine, di quello che oggi riesco a definire e percepire come ad un grande attacco culturale personale, ad una cinefilia proprio accanita, non so, ma qualcosa dopo aver visto il film Nostra Signora dei turchi mi era successo dentro, una sorta di indicazione, che nella mia mente mi aveva fatto scegliere, all’epoca, proprio uno dopo l’altro (ricordo che era l’autunno del 1968 e non avevo che undici anni) i film Teorema di Pier Paolo Pasolini, Diario di una schizofrenica di Nelo Risi, La vergogna di Ingmar Bergman. Un’indicazione che è riuscita a farmi abbandonare per strada, per un buon periodo, i miei amatissimi western, i miei amatissimi spy-story, i miei amatissimi musicarelli, i miei amatissimi Ciccio e Franco.
Ricordo poi di essere stato interrotto, da questa allucinata (in senso buonissimo però) serie di film d’autore dal meraviglioso C’era una volta il West di Sergio Leone. In qualche maniera Sergio Leone ha segnato quello che è stato davvero il ritorno ad un cinema un po’ più deputato alle corde del giovanissimo spettatore. In quei tempi mi é capitato anche sentire gente che usciva da una proiezione di Carmelo Bene ed inveire, anche irritato, per non avere in realtà capito nulla. Carmelo Bene, pur nella sua prorompente vena artistica rivoluzionaria, e come ci ha confermato anche Sonia Bergamasco, in verità era assolutamente in armonia solo con la grande tradizione, del teatro, del cinema, della cultura italiana. Carmelo Bene, in una rara occasione in cui abbiamo avuto l’avventura di parlargli, ebbene, la nostra verità ricordata era che lui si rifaceva spesso, e solo, a due esempi viventi nella sua contemporaneità, solo con loro in qualche maniera tentava un accettato confronto, Eduardo De Filippo e Vittorio Gassman. L’autore leccese in fondo è stato sempre percepito, nella realtà culturale italiana di base, ed anche dalla cultura più popolare, come un demone, e la sua vena geniale accusata di essere, in larga misura, solo nevrastenica, indisciplinata, contaminata, una tesi che tendeva e riusciva anche a raggiungere e a sollevare dubbi sulle reali condizioni di trovarsi di fronte a delle opere importanti, di pura arte.
Continua Sonia Bergamasco: “il mio percorso di lavoro con Carmelo Bene è stato certamente molto faticoso, molto pesante, molto difficile. Con lui si passavano ore ed ore ad un microfono. Lo riteneva uno strumento essenziale per il palcoscenico, una sorta di lente di ingrandimento per valorizzare al microscopio ogni particolare della vocalità, della tecnica, della espressione. Il microfono per Carmelo non era solo un supporto tecnico, al contrario era il percorso per entrare nelle cellule del suo linguaggio”. Noi pensiamo che al cospetto docente di un autore quale Carmelo Bene non solo le tendenze naturali di Sonia Bergamasco non si sono alterate, ma al contrario, sottoposta in fondo a prove durissime, l’avrà costretta a fare i conti proprio con la realtà, in una forma che diventa diversa dal plasma. Ed infatti, in tutto quello che Sonia Bergamasco fa oggi, lo vediamo, c’è sempre, in senso magistrale, il marchio di Sonia, l’impronta di Sonia. Karénina – Prove aperte d’infelicità in teatro, ad esempio, un’interpretazione magistrale suggellata anche dalla stesura di un testo ineccepibile, denso di una profonda ricerca psicologica che la Bergamasco ha stilato insieme allo scrittore Emanuele Trevi e che poi il regista Giuseppe Bertolucci ha filtrato attraverso la sensibilità netta del poeta. Sta certamente in questo intreccio magistrale, in questa alchimia del perfetto, in questa alleanza di gusto e cultura insomma tra regista, autori ed attrice, quella che resta la magnificenza e la beltà di un’opera austera ed elegante, che ha mandato in visibilio, nettamente, al teatro Vascello di Roma, un pubblico certamente appassionato. Un pubblico, ricordo, lasciato in platea, anche in quella occasione, assolutamente disarmato, dimesso, contagiato. Sonia Bergamasco oggi, semplicemente osservandola sul proscenio, dopo averci regalato un pomeriggio di quello che lei ha definito “un frammento personale di un percorso” composto di musica, teatro e cinema, un percorso insomma di arte assoluta, ebbene, quel pomeriggio, una volta riusciti a cogliere l’attimo, era davvero, Sonia, l’espressione raggiante, culminante, totalizzante di tale Karma. I nostri complimenti, una volta al suo cospetto, sono veloci, onesti, generosi: il suo percorso recitato a braccio, non raccontato, non possiamo non dirglielo, è rimasto semplicemente perfido nella sua maestosità, nella sua canaglia bellezza, nella sua atroce bravura. Ora che Sonia Bergamasco rimane assorta ai piedi del proscenio, tra un pianoforte a coda, violoncelli, clavicembali e leggii, ora incredibilmente muta, la avvertiamo quasi come demolita dalla performance regalata. Nel suo animo la riteniamo forse emblematicamente anche sconfitta e posseduta dalla potenza dell’ego artistico. Accucciata scalza, con le gambe tirate sul suo ventre, Sonia Bergamasco sembra siglarsi nei suoi pensieri: ecco, in questo momento che sembra di abbandono ad una entità che forse è il mistero, il fascino sublime di Sonia Bergamasco raggiunge l’estremo meandro, l’infinito pensiero, qualcosa che davvero ha a che fare, forse, con il soprannaturale, con il mistero raggiante, con la filosofia eccelsa, con la felicità che solo il cosmo può regalare.

Sonia Bergamasco, una beltà artistica che pensiamo sempre alla ricerca di se stessa, non poteva non incontrare sulla sua strada anche il bel cinema, anzi incontrare tra l’altro quattro registi “belli” come è stato certamente Giuseppe Bertolucci, che ha seguito ed amato il percorso di Sonia anche in teatro, come lo sono tuttora Marco Tullio Giordana, Giuseppe Piccioni e Bernardo Bertolucci. Sonia Bergamasco gira con Giuseppe il film L’ Amore probabilmente, 2009, con Marco Tullio Giordana La meglio gioventù, 2001, e Sangue pazzo, 2008, con Giuseppe Piccioni Giulia non esce la sera, 2009, con Bernardo Bertolucci Io e te, 2013, pellicole che certamente la rappresentano fortemente nel panorama del cinema internazionale. Questi sono titoli che abbiamo amato, certamente in maniera particolare nella sua filmografia, in qualche maniera hanno rappresentato sul grande schermo quelle che sono delle vitalità e delle tematiche in cui ci possiamo assolutamente riconoscere, anche nell’altalena, come restano, tra passione individuale, impegno civile, pubblico e privato, tra sussurri e grida anche (e celebriamo nell’accostamento, il bellissimo titolo di Ingmar Bergman). Questi erano soprattutto copioni insomma che cercavano assoluta credibilità e netta bravura da parte degli attori. Scendendo nel particolare de La meglio gioventù poi, da parte degli autori, oltre al regista Giordana certamente dobbiamo menzionare anche gli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli ed il produttore Angelo Barbagallo, il lavoro di casting sarà stato duro e proprio per questo fondamentale. E non hanno sbagliato un colpo: Alessio Boni, Fabrizio Gifuni, Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Adriana Asti, Jasmine Trinca, Claudio Gioé, Giovanni Scifoni, Valentina Carnelutti, Andrea Tidona, Riccardo Scamarcio. Sonia Bergamasco poi, in questo titolo e in tutti gli altri menzionati, è certamente toccata dalla grazia. Ne La meglio gioventù, tra l’altro, pensiamo che tocchi proprio a lei il ruolo più duro, una parte forse connotata anche da fortissime corde, in qualche caso pensiamo, anche della biografia del pensiero di Sonia, per il personaggio di Giulia quando passa tra sofferenze enormi, dalla contestazione sessantottina alla lotta armata ed alla clandestinità, sacrificando in fondo (qui forse può trovarsi quella che noi avvertiamo come una radice biografica del suo pensiero) le sue grandi vocazioni, di musicista e di madre. Per tornare nuovamente nell’aneddoto personale (le scuse con i lettori sono di nuovo un obbligo) ricordo di avere molto amato soprattutto La meglio gioventù, e soprattutto in sala, perché, in qualche maniera, mi ha dato il lascito per confrontarmi e rivedermi con alcuni grandissimi capolavori di un passato ancora memorabile e grandissimo per il nostro cinema: Rocco e i suoi fratelli, ad esempio, ma anche Una vita difficile, C’eravamo tanto amati, La famiglia. Grazie a Sonia Bergamasco. Grazie anche per tutto questo.
Giovanni Berardi