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Storie, significati, censure ed altri scherzi di Lars Von Trier

Analisi politica del cinema. Rubrica a cura di Pasquale D’Aiello…

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Fiumi di bit si sono spesi sull’ultima fatica del maestro danese, dedicata alle avventure di una ninfomane. Prima hanno tenuto banco le furiose polemiche sulla scandalosità delle scene, l’uso di attori porno, il trauma degli attori, etc. I dubbi sul fatto che in Italia non si sarebbe mai distribuito, per le note ingerenze del Vaticano, la DC, i cattolici, i perbenisti, i fascisti, i berlusconiani, etc. Di tanto in tanto qualche sito sfornava qualche clip che mostrava situazioni hot estreme, senza poter scendere nei dettagli, che sarebbero stati troppo scabrosi. E giù post su facebook, appelli di intellettuali, indignati per la censura preventiva ad una tal opera di ingegno. Poi la ripresa delle polemiche sulla famosa frase contro gli ebrei pronunciata qualche tempo prima dal regista a Cannes, e che forse gli costò la Palma d’oro per il bellissimo Melancholia. Come si può considerare anti-ebraico un regista che confermava la collaborazione con l’ebrea Charlotte Gainsbourg? E, infine, dopo tante attese il film arriva in sala e il distributore non ha neppure il coraggio di uscire con la limitazione per diciottenni ma, come una qualunque commedia scollacciata degli anni ’70, preferisce ritirare il visto censura per up-quattordicenni, salvo poi preporre una dicitura che avverte che per farlo uscire con questa autorizzazione si sono dovute tagliare alcune scene che certo non sono piaciute al Maestro ma che, comunque, le ha autorizzate. Ma come? Dopo tutto questo sfracello sulle scene porno, lo si propina al pubblico nella versione mutilata che qualunque quattordicenne potrebbe vedere? O forse devono essere davvero smaliziati questi adolescenti italiani. Tuttavia, non sarà certo questa ignobile censura catto-protestante, italo-danese che impedirà all’impavido spettatore italiano di confrontarsi con questa tanto attesa pellicola.

Il film viene proposto in due tranche, ciascuna delle quali non avrebbe senso autonomamente, ma data la lunghezza è un espediente necessario. Salvo poi scoprire che tanta lunghezza non è affatto necessaria. Il film è il lungo racconto delle avventure erotiche di una ninfomane, che nulla perderebbe  se durasse un’ora di meno e che nulla guadagna dalla vacua e imbarazzante sovrapposizione di riferimenti simbolici a Fibonacci, alle composizioni musicali o alle icononografie religiose. Il primo episodio si conclude senza che sia possibile trarre nessun giudizio sensato, salvo magari una certa sciatteria nel modo di girare. Ma alla visione del secondo episodio i dubbi si chiariscono. La protagonista, dopo aver tentato invano di curare la sua patologia, si accorge che non è affatto una patologia ma un suo modo di essere che solo la morale borghese-capitalista-cattolica-fascista vuole considerare patologica. Al netto del pansessualismo freudiano (che bloccherebbe qualunque discussione sul nascere), se non era un problema la sua attitudine sessuale perché si era risolta a curarla, dopo una vita vissuta liberamente e con l’ausilio di un marito “freudiano” che l’aveva consigliata ad assecondare le sue inclinazioni? Forse che il film voglia essere  un invito ad una vita priva di tabù? In tal caso sarebbe troppo in ritardo, essendo questa discussione già chiusa da qualche decennio.

Al termine delle sue avventure scopriamo che l’ex marito della protagonista intrattiene una relazione con una giovane a cui lei era sentimentalmente legata. Il marito, da lei pluri-tradito, non era neppure a conoscenza del legame tra la giovane e la sua ex moglie ma questo non lo salva dal tentativo di omicidio da parte della sua ex-consorte! Premesso che Freud potrebbe spiegare tutto (ma anche il suo contrario), qui ci sarebbe molto da faticare per spiegare allo spettatore per quale motivo la protagonista se la sia tanto presa, per qualcosa che nessuno considererebbe neppure una colpa. Nell’epilogo del film un anziano signore, vissuto  sempre in castità (ma esperto di tutto), eccitato dalle piccanti storielle sciorinate dalla protagonista si produce in un approccio eccessivo e scomposto che può certamente rientrare nella definizione di molestie sessuali ma non in quella di stupro e nemmeno nel suo tentativo. La reazione della donna è tranchant e lo uccide sul colpo. Tanto è bastato per convincere molti che si trattasse di un atto di accusa contro il bigottismo e il maschilismo violento (in realtà era solo un’applicazione dell’adagio hitchcockiano secondo cui se si vede una pistola questa prima o poi deve fare fuoco).

Si potrebbe provare ad argomentare che non basta fare un’affermazione per realizzare un film che ne inveri il concetto, che dovrebbe essere la storia, le immagini a parlare ma forse sarebbe inutile. Si potrebbe insistere sulle contraddizioni interne alla sceneggiatura ma forse neppure questo basterebbe. Allora si provi a riflettere sul fatto che Lars Von Trier non è nuovo alla produzione di film che sono privi di senso semantico, come Idiots (1998), Il grande Capo (2006),  Manderlay (2005), Europa (1991). Nymphomaniac appartiene a pieno titolo a questa produzione meta-cinematografica, disinteressata alla semantica e tutta incentrata sulla provocazione dello spettatore e la sperimentazione sull’immagine. A quelli ancora non convinti non resta  che consigliare la visione del prologo di Antichrist (2009) (film, con visione opposta a quella che si vorrebbe attribuire a Nymphomaniac, in cui la donna è vista come demone e il suo piacere come il male del mondo) in cui è presente la stessa scena che è presente in Nymphomiac, dove mentre la mamma è coinvolta in una copula suo figlio si avvicina pericolosamente al bordo di una finestra. E se in Nymphomaniac la soluzione della scena potrebbe lasciare qualche dubbio sulla sostenibilità della scelta sessuale della donna (il figlio viene salvato dal padre e già questo dovrebbe spegnere i sospetti sul presunto progressismo liberatorio di LVT) in Antichrist la condanna del piacere femminile è totale e definitiva (qui il bambino muore). Qualcuno potrebbe pensare ad un ravvedimento di LVT sul tema della sessualità femminile ma qui, difronte a tanta caparbietà, occorrerebbe arrendersi. Buone visioni a tutti.

Pasquale D’Aiello

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