Performanti e concorrenti. Questi i due aggettivi del nuovo millennio che poggiano saldamente sullo squarcio aperto dall’ultima pellicola dei Dardenne: uno squarcio che i due cineasti esplorano con il solito minimalismo tecnico e il necessario rigore narrativo
Performanti e concorrenti. Questi i due aggettivi del nuovo millennio che poggiano saldamente sullo squarcio aperto dall’ultima pellicola dei Dardenne: uno squarcio che i due cineasti esplorano con il solito minimalismo tecnico e il necessario rigore narrativo. Un ‘marchio’ che impregna i personaggi (e attori che li incarnano), catturati nelle realtà che vivono, essi stessi consapevoli dell’universalizzazione che portano. Deux Jours, Une Nuit, in concorso e indubbiamente da inserire nella rosa dei possibili premiati, vince come pellicola soprattutto per ciò che si decide di mostrare. La crisi economico sociale che attanaglia non solo l’Europa, ma in generale il globo civilizzato, è crisi dell’uomo. Di come il capitale ne abbia preso completamente l’anima, e manipoli la sua sopravvivenza deviandola verso obiettivi in cui il come si esiste è stato bandito in virtù di un sopravvivere. Sandra è una giovane madre e moglie, una come tante, con una casa e i figli da gestire, pronta a godersi il we in famiglia. La donna riceve una telefonata che la scaraventa nel vuoto: il suo licenziamento dalla piccola fabbrica di pannelli solari dove lavora, è stato messo dal datore di lavoro in mano ai suoi colleghi, barattato con un bonus che entrerebbe nelle loro tasche se il ramo più secco, meno performante (Sandra è una ex depressa), venisse sradicato. Non è proprio così palese, naturalmente, ma viene fatto capire, minacciato subdolamente, e visto che il rischio è questo, alcuni amici lavoratori sono riusciti ad ottenere per vie sindacali il ripetersi dell’operazione di voto il lunedì successivo, per far prendere ai lavoratori la piena coscienza di ciò che la decisione comporta. A Sandra non resta che convincere uno ad uno i suoi colleghi a votare per lei, rinunciando al bonus. E avrà a disposizione sabato e domenica per farlo.
I Dardenne raccontano in un’intervista che il film è iniziato a prendere forma quando hanno pensato ad una coppia, quando hanno aggiunto a Sandra suo marito Manu (Fabrizio Rongione). Sandra crolla subito, fagocitata dalla forma mentis che il sistema economico-sociale induce ad avere: “Non esisto. Se non ho un lavoro non esisto. – A prescindere da cosa si faccia, da quanto venga retribuito, dai sacrifici che vengono chiesti alla mia umanità, aggiungo io – Non ce la faccio a ricominciare, non ce la faccio”. E Manu (uomo ancora d’anima) le risponde “Tu esisti. Io ti amo”. Sandra non vuole nemmeno provarci, ad andare a cercare i colleghi e chiedere loro di votare per il suo posto di lavoro. Si attacca alle pillole, tentando inutilmente di non piangere, di non crollare. E’ suo marito che la sprona, la convince a farlo. Inizia così il viaggio di Sandra, che incontrerà uno ad uno, nei rispettivi contesti di vita del we, i colleghi a cui chiederà di salvare il suo posto di lavoro. La frase, minimalissima nella grammatica formale e sostanziale, scandita dalla donna quasi con timore e indubbiamente nell’inconsapevolezza dello scandalo che un baratto del genere rappresenta, sembrando a chi lavora ormai normale subire qualunque tipo di richiesta, per ingiusta e indignitosa che sia, data la fragilità di una sicurezza economica, la sola cosa ormai divenuta importante, a prescindere, dall’in nome di cosa si lavori). Si lavora in nome della costruzione di un patio per la casa, per pagare spese arretrate… per la materia… Nuovo piedistallo che ormai ha sostituito l’anima, la vera cura di sé nella soddisfazione di bisogni più profondi: sentimenti, crescita intellettuale, ricerca della bellezza, del piacere, riscoperta del senso di meraviglia, cura di sé anche fisica. Stupiscono certo le reazioni, specie quelle più spietate, secche nel mettere sullo stesso piano il denaro e la sopravvivenza di un essere umano.
Ed è qui lo squarcio che i Dardenne riescono ad aprire così bene, a mostrare. Assistiamo increduli a dei no come risposta, increduli alla serie di motivazioni tutte, chi più chi meno, legate alla gestione del superfluo, che la società ci ha insegnato a credere indispensabile, vitale. In questo processo catartico che Sandra compie, alcuni uomini e donne si metteranno realmente in gioco, nel bene e nel male, mostrando a noi e alla nostra protagonista quanto imbruttiti e ciechi questa struttura produttiva (spietata nel pretendere gente in piena forma da spremere e da far combattere l’uno contro l’altro per ottenere il profitto che serve) ci abbia resi. Il pedinamento della nostra eroina contemporanea che i Dardenne compiono, è pressante senza essere ossessivo, è vitale nei pezzi di realtà che paiono schiudersi così naturalmente al passaggio della macchina da presa, tenendo la giusta distanza da una perdita di identità che Marion Cotillard incamera con grande maestria attoriale. La assorbiamo completamente, empatizzando con la sua fragilità, impotenza, vergogna, senso di umiliazione. E attraversiamo insieme a lei tutta la sua evoluzione, fieri di vederla decidere finalmente riprendendo l’anima con sé, felice di una battaglia che le ha insegnato a comprendere quanto possa esistere anche senza un lavoro, e soprattutto rifiutando di essere reclutata-sfruttata nella nuova guerra tra poveri che viene fatta combattere.