Anno: 2014
Durata: 110′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Giappone
Regia: Naomi Kawase
Natura e società che si annodano in una danza simbiotica e ineluttabile, vita e morte che si susseguono in un ciclo infinito e inspiegabile. Still the Water della giapponese Naomi Kawase inizia con la ripresa del mare in tempesta e poi, dopo uno stacco, della quiete che ne segue. È la natura che si esprime tumultuosa. Un anziano sgozza un capretto secondo il suo rituale meticoloso e freddo. La natura e l’uomo convivono nell’armonico equilibrio tra lotta e pace sull’isola giapponese di Amami-Oshima, dove il perpetrarsi delle tradizioni non si arresta, proprio come accade agli eventi naturali, perpetui e continui. Durante i festeggiamenti nella notte di luna piena in agosto, il sedicenne Kaito scopre un cadavere in acqua. Lui, da sempre spaventato del mare perché “vivo”, viene turbato dalla tragedia. Nel frattempo procedono le indagini sul caso – che la regista accantonerà presto – e Kaito ritorna alla sua quotidianità fatta di una madre sempre assente per lavoro e una fidanzata, Kyoko, con cui passa i pomeriggi in giro in bicicletta. Kaito e Kyoko sono vivi, i loro cuori pulsano di emozioni diverse e vivide e vivono avvolti da sentimenti contraddittori propri della loro età. Entrambi vivi più che mai si confrontano con la morte, per lui arrivata a turbarlo con quel corpo tatuato visto galleggiare in mare, per lei ad affliggerla con la morte imminente della madre sciamana. Mentre un amore vede i primi albori, una vita si spegne serena trascinandosi il dolore di chi resta e non comprende.
Secondo i ritmi e le credenze della cultura giapponese, Kawase immortala uno scorcio esistenziale, appassionato senza dubbio, incisivo e puntuale in alcuni momenti, ingenuo e claudicante in altri. Tenera ed amabile è la storia d’amore tra i due ragazzi, insieme impegnati a capire il mistero della morte e della vita, o dell’amore, dolcemente impacciati nell’esprimere i sentimenti e nell’approccio fisico ed emotivo all’altro. Kaito e Kyoko sono costretti ad elaborare l’assenza delle figure materne nella loro vita, lui perché sua madre ha egoisticamente impegnato le sue energie nel ricostruirsi all’indomani della rottura col marito, lei perché la sensibilità speciale di sua madre l’ha elevata a uno stato superiore allontanandola da lei. Probabilmente ingenue risultano le soluzioni narrative e visive che mostrano l’incidenza delle donne nella vita dei figli. O forse la percezione di efficacia nel catturare il mistero dell’esistenza nel flusso degli eventi selezionati è sottesa a un sostrato culturale locale lontano.
Al di là delle aride disquisizioni sul perché dell’inserimento di un film così rarefatto e poetico (anche se spesso la poesia suscita un sorriso e non un pensiero) nel Concorso Ufficiale a Cannes, rimane la bellezza di un racconto sull’educazione sentimentale di due adolescenti e la brutalità degli eventi mortiferi osservati con i loro giovani occhi ancora incapaci di arrendersi alla forza e ineluttabilità della natura.
Francesca Vantaggiato