
Ricco pomeriggio domenicale al cinema Trevi per l’ultima giornata della seconda edizione del Festival, nato dall’idea di Daniele Dezi, Stefano Carderi, Emanuele Venturi e Matteo Marcelli, per dare visibilità ai cortometraggi autofinanziati di giovani registi emergenti, e rendendo possibile un confronto con i professionisti del cinema. La sala è piena per la proiezione delle 17: dieci cortometraggi appartenenti alla sezione Drammatici; seguirà l’attesissima sezione Horror con i cortometraggi Io Vedo I Mostri (15’) di Federico Alotto, Starving – Gli Affamati (19’) di Mike De Caro, Sarcophaga (20’) di Giuseppe Peronace, Psyco and Love di Mattia De Pascali (15’), Decameron Capitolo Zero di Maurizio Ciccolella (6’); la sezione Commedie concluderà con la proiezione di sette corti la presente edizione.
Hanno partecipato alle proiezioni e al dibattito che ne è seguito il produttore Domenico Procacci, l’attore e regista Edoardo Leo e il regista Sydney Sibilia, recentemente nelle sale cinematografiche con Smetto Quando Voglio, che hanno risposto alle domande di Francesco Iezzi, docente di Storia e Critica del Cinema all’Università La Sapienza, del pubblico, e si sono confrontati con gli Autori presenti in sala, Giovanni Buzzatti regista di Fumo Rosso (6’), Fabio D’Alessio che ha diretto La Soluzione di Marco (8’) Erick David Palacios Anazco regista di Plàcido! (2’).
Domenico Procacci, fondatore della casa di produzione Fandango, presentato come “il più indipendente e il più coraggioso dei produttori” (ma lui precisa che l’unico vero indipendente in Italia è Aurelio De Laurentiis) parte da una considerazione sull’impostazione del Festival, “senza filtro” e senza selezioni, che trova molto interessante (e molto rischiosa); ma –aggiunge- “tutto quello che può essere un momento aggregativo va aiutato incoraggiato e sostenuto”
Prosegue sul lavoro del cortometraggio, che è diventato molto più accessibile dal punto di vista dei costi, rispetto a vent’anni fa; Edoardo Leo ricorda infatti quell’epoca (citando il primo cortometraggio girato da Valerio Mastrandrea in super 8) paragonandola ad oggi, e aggiungendo che aldilà della sceneggiatura, “l’unica cosa difficilmente perdonabile oggi è non farlo tecnicamente bene” viste le nuove tecnologie e i costi più accessibili. Smetto Quando Voglio nasce proprio da un corto comico che Sydney Sibilia aveva girato, prodotto da Matteo Rovere, il quale l’aveva poi sottoposto a Procacci e ha dato l’opportunità a Sibilia di girare il suo primo lungometraggio; alla domanda allo stesso regista sulle prospettive di mercato del cortometraggio, Sibilia spiega che le motivazioni che spingono a girare un corto autofinanziato non sono quelle commerciali; il corto lo si gira per il fruitore finale, che lo vedrà ad un Festival, e ne sottolinea l’importanza come luogo di scambio e di condivisione; il suo incontro con Matteo Rovere avvenne proprio ad un festival nel 2005.

Francesco Iezzi introduce la questione cinema indipendente: cosa vuole dire oggi fare questo tipo di cinema in Italia e da dove nasce la volontà di farlo e Edoardo Leo prende la parola e parte dal concetto di “indipendenza”: c’è quella creativa o editoriale e c’è quella economica; la casa di produzione Fandango riesce ad imporre l’indipendenza creativa a chi finanzia il film per questo non è detto che un film finanziato sia un film con limiti editoriali. Prosegue Domenico Procacci sull’indipendenza economica, auspicando che si creino condizioni che consentano una maggiore libertà creativa unitamente all’accesso a più fonti di finanziamento (che attualmente sono Rai Cinema, Warner, e lo Stato, quest’ultimo per produzioni a basso costo; mentre il finanziamento da parte di Medusa resta difficile per gli esordienti). Cita come esempi Diaz di Daniele Vicari per il quale è stato totalmente indipendente e Il Divo di Paolo Sorrentino, per il quale è dovuto ricorrere a più fonti di finanziamento.
Procacci aggiunge che in Italia bisognerebbe realizzare un tipo di cinema lontano dal genere maggiormente finanziato – che è la commedia – poiché non si può vivere di sola commedia; a questo proposito, dialogando con Fabio D’Alessio regista de La Soluzione di Marco, in cui si racconta il dramma quotidiano di chi non riesce a pagare i propri debiti, Procacci esorta ad affrontare le tematiche sociali proprio attraverso i cortometraggi in quanto non essendo un prodotto commerciale consentono una maggiore libertà.
Il confronto con gli Autori in sala, esortato dai quattro fondatori del festival, che ribadiscono l’importanza dell’incontro e dello scambio, prosegue con Fumo Rosso: il regista Giovanni Buzzatti racconta la sua opera prima, nata da un’esigenza di ribellione rispetto ad un sistema schiacciante: la gestione dei soldi rispetto al bene pubblico; sebbene – per sua ammissione – la sceneggiatura sia carente e la sua poca dimestichezza con le dinamiche produttive, si è cimentato lo stesso in questo lavoro, durato un giorno e mezzo di riprese e tre giorni di montaggio.
I corti non hanno vita distributiva, e anche per molti lungometraggi, una volta terminata la produzione arriva il problema della distribuzione. Procacci, interrogato da Iezzi sulla questione sostiene che la distribuzione è la combinazione di un insieme di fattori: si possono avere tante copie e la qualità delle sale, ma se nessuno va a vedere il film probabilmente c’è stato qualche errore nella scelta del titolo, del manifesto o della promozione; e va a sfatare quello che considera un falso mito, ovvero “i film meravigliosi che non trovano distribuzione”: è vero che ci sono film con breve vita distributiva ma è anche vero che ce ne sono alcuni inguardabili; se un film è di buona qualità e ha una sua forza e una suo originalità, in qualche modo arriva; Edoardo Leo supporta le affermazioni di Procacci portando ad esempio un suo film, opera prima da regista, Diciotto anni dopo uscito in 28 copie durante il periodo dei Mondiali di calcio, con poca pubblicità e che, nonostante tutto, è arrivato alla candidatura al David di Donatello (e che Domenico Procacci ha visto all’Arena Nuovo Sacher).
Domenico Procacci si ammorbidisce ed esorta i giovani cineasti a non cambiare la considerazione che si ha del film in base a come andranno gli incassi al botteghino. L’oggetto con la sua forza e la sua originalità e la considerazione che si ha verso di esso non devono cambiare, per nessun motivo.
Anna Quaranta